Di Alessandro Corti
Da una parte la casa, carica di imposte, sommersa di Tasi. Dall’altra, il gran popolo dei furbetti delle dichiarazioni, un paese dove commercianti e artigiani, stando alle statistiche, vivono ai limiti della povertà guadagnando meno dei propri dipendenti. E dove, la crisi, ha fatto crescere sempre di più le diseguaglianze: il 50% dei lavoratori ha un reddito sette volte più basso rispetto al proprio datore. Per una “singolare” coincidenza gli ultimi dati sulle dichiarazioni dei redditi sono stati diffusi a poche ore dalle “Considerazioni finali” lette ieri dal governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, davanti al gotha dell’imprenditoria e della finanza. Due istantanee che, messe insieme, non fanno altro che confermare le contraddizioni di un Paese che non riesce a imboccare la strada della ripresa.
Le parole scandite ieri in Via Nazionale, sono risuonate come un bagno nella realtà. Visco non si è sottratto al suo ruolo di “vigilante”, non è salito sul carro del vincitore, non ha fatto sconti al governo. Il bonus di 80 euro, ha spiegato, non è sufficiente per invertire la china. La strada maestra resta quella delle riforme. Misure strutturali finora i governi precedenti hanno solo annunciato: circa il 50% degli interventi già varati è da realizzare. Mentre la promessa di ridurre le imposte sulla prima casa rischia di essere vanificata dall’arrivo della Tasi: secondo i calcoli di Bankitalia la nuova imposta porterà ad un aumento fra il 25 e il 60%, oscillando fra i 360-370 euro all’anno pagati nel 2013 ai 400-600 euro all’anno del 2014. Un aumento tra il 25 e il 60%. Certo, molto dipenderà dalle aliquote che fisseranno i Comuni. E, nel pomeriggio, da Via Nazionale, si sono affrettati a far sapere che la differenza è dovuta anche al fatto che nel 2013 sulla prima casa si è pagata solo la “mini-Imu”.
Ma, anche così, è evidente che i conti non tornano. Da questo punto di vista c’è un passaggio-chiave nelle Considerazioni, quando Visco ha messo sullo stesso piano l’evasione fiscale, la criminalità e la corruzione: tre fattori che minano la convivenza civile, distorcono il mercato, impediscono la crescita e fanno lievitare le tasse per i contribuenti onesti o sui beni, come la casa, che non possono sfuggire alla mannaia delle imposte. Per questo forse, la prima riforma, sicuramente una delle più urgenti, resta quella del fisco. Renzi si è impegnato ad attuarla prima dell’estate. Il premier ha incassato, nelle ultime elezioni, un grande dividendo elettorale. Ora deve spenderlo per cambiare anche la fotografia di un paese dove il carico fiscale pende solo da una parte.
fonte: L’Arena
Fonte: L’Arena