Scrive il CORRIERE DELLA SERA: “L’ultimo allarme mafia al palazzo di giustizia di Palermo scatta mentre il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica è riunito in prefettura alla presenza del procuratore generale, Roberto Scarpinato. Ed è una lettera di minacce indirizzata proprio a Scarpinato e al comandante della sezione dei carabinieri attiva all’interno del Tribunale ad alimentare l’apprensione già montata nei mesi scorsi con avvertimenti diretti ed obliqui indirizzati a diversi magistrati di Palermo, Trapani e Caltanissetta. Una busta recapitata all’agenzia Ansa di Palermo alle cinque della sera. Poche righe inquietanti: ‘Attenzione è pronto un regalo scoppiettante per procuratore Scarpinato e dirigente carabinieri tribunale’. La firma è una sigla comparsa per la prima volta, tre lettere puntate di difficile interpretazione: ‘P.R.A.’. (…) ‘No, non abbiamo affatto discusso del messaggio, della notizia frattanto rilanciata dall’Ansa , e abbiamo proseguito l’esame delle misure alle quali lavoriamo da alcune settimane indipendentemente da quest’ultimo episodio, per il momento privo di riscontri…’, assicura uno dei partecipanti al Comitato. (…) attorno al tribunale già da due settimane c’è massima allerta per i cento carabinieri impegnati ogni giorno dentro e fuori il palazzo. Sempre più stringenti i controlli ai varchi. Divieto assoluto di sosta anche per le auto dei carabinieri. E sono comparsi pure dei paletti dissuasori tutt’intorno, oltre a una corsia preferenziale controllata dalle telecamere di una sala regia allestita come un bunker di guerra (…)”.
LA REPUBBLICA riferisce delle prime dichiarazioni del boss pentito Antonio Iovine: “‘Ho cominciato a uccidere negli anni Ottanta. È iniziato tutto con l’aggressione alla famiglia Nuvoletta, da parte di Antonio Bardellino’. Così nasce un padrino. Da killer a mente strategica dei Casalesi. Ecco il racconto che Antonio Iovine sta consegnando ai pm Antonello Ardiduto e Cesare Sirignano, con l’aggiunto Giuseppe Borrelli. Verbali depositati nel processo per collusioni contro un ex sindaco Pd, Enrico Fabozzi, oggi consigliere alla Regione Campania nel gruppo misto. ‘Ho partecipato all’omicidio del vigile urbano di San Cipriano. Poco prima c’era stato quello di Antonio Bardellino nell’88, in Brasile: mi chiesero di andare con loro, ma io non vi partecipai perché non avevo il passaporto per partire. (…). ‘Da quando sono uscito dal carcere, il clan ha assunto una dimensione essenzialmente imprenditoriale, di cui io e Michele Zagaria siamo stati senz’altro i principali protagonisti. Si tratta di un sistema che vede coinvolti imprenditori e funzionari pubblici e consente di controllare l’assegnazione e l’espletamento degli appalti nei diversi comuni controllati dal clan. Non c’è stato bisogno, tante volte, non solo di usare la violenza, ma addirittura nemmeno di parlare in maniera esplicita. I funzionari pubblici sono stati costantemente corrotti. All’imprenditore offrivamo una sorta di pacchetto completo: che comprendeva anche il fatto che lui si rapportava esclusivamente con me e poi io provvedevo di volta in volta a regolare i conti con chi territorialmente aveva diritto a una quota’. (…)
‘Si tratta di una mentalità che possiamo definire ‘casalese’ che ci è stata inculcata fin da giovani. È quella che posso definire la regola del 5 per cento, della raccomandazione, dei favoritismi, la cultura delle mazzette e delle bustarelle che prima ancora che i camorristi, ha diffuso sul nostro territorio proprio lo Stato che è stato del tutto assente nell’offrire delle opportunità alternative e legali alla nostra popolazione. Tanti gli appalti. Tra i grandi lavori che abbiamo gestito, l’affare della rete di distribuzione del gas metano nei sette comuni dell’agro aversano, e anche il Polo calzaturiero’. (…) ‘C’erano soldi per tutti, un sistema completamente corrotto. Qui va considerata anche la parte politica e i sindaci, i quali avevano interesse a favorire essi stessi alcuni imprenditori in rapporti con i clan: per avere vantaggi durante le campagne elettorali in termini di voti e finanziamenti. Non faceva alcuna differenza il colore politico del sindaco perché il sistema era ed è operante allo stesso modo. Anche una personalità come l’ex parlamentare Lorenzo Diana, che pure ha svolto una dura azione politica di contrasto, ha permesso che continuassimo ad avere questi appalti anche quando c’erano sindaci della sua parte politica’. (…)
‘Un altro affare riguardava il rimboschimento: lavori appaltati attraverso finanziamenti del ministero dell’Agricoltura. Se non sbaglio, i finanziamenti si riferiscono al periodo in cui il ministro era Alemanno: lui venne a San Cipriano per una manifestazione elettorale, su invito di mio nipote Giacomo Caterino, anch’egli in politica, tanto che è stato candidato alle elezioni comunali e provinciali ed è stato anche sindaco di San Cipriano’. Ma Alemanno (estraneo alle indagini) smentisce: ‘I fatti risalgono a un periodo antecedente la mia gestione al ministero. La nostra amministrazione è quella che ha scoperto lo scandalo ‘Forestopoli’. Quanto a quel comizio, era un normale appuntamento elettorale e su Caterino non gravava alcun sospetto’. (…) Ho gestito la cassa del clan fino al 2008. Ogni mese il clan dei casalesi poteva contare su circa 350 mila euro di introiti, senza contare gli incassi personali che ciascun capo poteva ottenere. Riuscivo a racimolare con tutti questi affari tra i 130 e i 140mila euro al mese; avevo l’onere di versarne 60mila per gli stipendi’. Ne restavano per lui almeno 70mila al mese. Un lusso che ora appartiene al passato, per Iovine. ‘Voglio cambiare vita e chiudere una pagina. Ho 50 anni, e credo sia giunto il momento di avere una vita più giusta della precedente’”.