Beni per 1,5 mlioni di euro sono stati sequestrati dai finanzieri della Compagnia della di Melito Porto Salvo (RC) a una farmacista di Bovalino (RC) G.M.L., di 61 anni,accusata di bancarotta fraudolenta e truffa aggravata. Il provvedimento di sequestro preventivo e’ stato emesso dal Gip presso il Tribunale di Locri, su proposta della locale Procura della Repubblica ed e’ scaturito da indagini nel corso della quale i finanzieri hanno proceduto a ricostruire l’intera situazione economico-patrimoniale dell’impresa. L’approssimativa gestione contabile, finalizzata quasi esclusivamente ad agevolare l’occultamento delle somme distratte, avrebbe permesso agli investigatori di dimostrare come l’imprenditrice, prima di essere dichiarata fallita dal Tribunale di Locri nel 2016, avendo presumibilmente percepito con anticipo lo stato di insolvenza della sua impresa, avesse distratto dolosamente, attraverso il conferimento, l’intero ramo d’azienda della farmacia (comprendente il diritto d’esercizio della stessa, l’avviamento commerciale, arredi, attrezzature e farmaci in giacenza), per un valore complessivo di 1,5 milioni di euro, annettendolo, ai danni dei creditori, al patrimonio di un’altra societa’ da lei stessa compartecipata. Lo stratagemma scoperto dai finanzieri avrebbe consentito all’imprenditrice di attribuire una diversa veste giuridica all’impresa a rischio di fallimento, pur mantenendone la sostanziale titolarita’. Il sistema, da un lato, aveva permesso alla farmacista di sottrarre beni aziendali alla garanzia del ceto creditorio, dall’altro, di alterare gravemente e in maniera irreparabile lo “stato di salute” dell’impresa, poi fallita. Gli investigatori hanno rilevato, inoltre, come l’imprenditrice avesse nel tempo architettato e realizzato, attraverso molteplici bonifici, operazioni di giroconto e prelevamento di contanti, un’ulteriore distrazione di liquidita’ per un importo complessivo pari a circa 485 mila euro. L’espediente contabile scoperto dai finanzieri della Compagnia di Melito di Porto Salvo, adoperato per giustificare il drenaggio di denaro destinato a spese personali di natura squisitamente privata, consisteva nel costituire crediti inesistenti, che risultavano maturati dall’imprenditrice nei confronti della propria ditta, inserendoli fittiziamente nel bilancio di quest’ultima.