Sessantasei giorni per salvare l’ex Ilva. Da domani, primo luglio, al 5 settembre, ogni giorno è buono per trovare un compromesso tra governo e il nuovo proprietario ArcelorMittal ed evitare che il 6 settembre l’acciaieria smetta di produrre acciaio. Se ognuno rimarrà fermo sulla propria posizione, infatti, da quella data — così come previsto dal decreto Crescita diventato legge lo scorso 27 giugno — per i responsabili dello stabilimento non varrà più «l’impunità per la violazione delle disposizioni a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro», elemento che ArcelorMittal, nei giorni scorsi, ha ribadito imprescindibile per poter risolvere i problemi ambientali dell’ex Ilva, fino al completamento del Piano ambientale. In mancanza di novità, ha sottolineato il 26 giugno Gert Van Poelvoorde, amministratore delegato del ramo europeo di ArcelorMittal, si andrà incontro alla chiusura dell’acciaieria.
Tutto si sposta sul piano della politica. Infatti, nonostante l’appuntamento sia fissato per le 18, sarà un Consiglio dei ministri molto caldo quello in programma domani. Lo scontro tra M5s e Lega sulla gestione delle grandi partite industriali – Ilva, Atlantia, Alitalia – incombe minaccioso sulla tenuta del Govemo, tanto quanto le assicurazioni che Matteo Salvini pretende di avere dai soci di maggioranza sulla Flat Tax. Il leader della Lega ha mandato segnali precisi di cui ieri si è fatto portavoce Giancarlo Giorgetti. «Se il Governo ha assunto un impegno in sede di negoziazione diventa complicato e disdicevole non mantenerlo», avverte il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con riferimento alla cancellazione della immunità per i nuovi manager del gruppo siderurgico, decisa con il decreto crescita e alla quale la multinazionale guidata dall’indiano Lakshmi Mittal ha risposto anticipando la chiusura degli stabilimenti che forniscono gran parte dell’acciaio alle imprese manifatturiere italiane.