La sintesi delle principali notizie in evidenza sui giornali di mercoledì 17 ottobre
Politica interna
Anche il Senato taglia i vitalizi. L’ufficio di presidenza del Senato ieri ha varato l’addio ai vitalizi con 10 sì legastellati e un’astensione, mentre Pd e Fi sono usciti al momento del voto. Dal primo gennaio gli assegni di 1.320 senatori in quiescenza (età media 77 anni) verranno ricalcolati col metodo contributivo. Risparmio stimato, fra Camera e Senato: una cinquantina di milioni l’anno. Esulta come da copione il MSS, sceso in subito in piazza a festeggiare. Così scolpisce Luigi Di Maio sui social: «Detto fatto, promessa mantenuta», si compiace sotto la scritta cubitale “Fine della casta”. Prossima tappa, le Regioni, avverte il capo politico del MSS: è previsto nella manovra di bilancio che perderanno fondi se non sforbiceranno come in Parlamento. Ora sui due rami del Parlamento, nei quali vige la giustizia domestica (autodichia), già pendono centinaia di ricorsi (oltre 500 patrocinati dall’avvocato Maurizio Paniz, ex deputato di FI) che alla Camera verranno trattati per le sospensive a partire dal 7 novembre dal Consiglio giurisdizionale di primo grado composto da Alberto Lo Sacco (Pd), Stefania Ascani (M5S) e Silvia Covolo (Lega). Dopo il voto di ieri i grillini hanno festeggiato dentro e fuori il Senato infilando monete di cioccolata in un grande salvadanaio: 56 milioni di risparmi. Cifra valida per il 2019, da sommare ai 40 milioni di tagli previsti alla Camera, ma l’aspettativa di vita dei 2.500 ex parlamentari titolari di «vecchi» vitalizi ridurrà negli anni il risparmio stimato. I «vecchi» vitalizi sono stati infatti tagliati nel 2012 con il governo Monti. Poi, nella scorsa legislatura, il Pd si decise a votare alla Camera la legge Richetti che anticipava i tagli fatti dalla maggioranza giallo verde ma i senatori dem, con grande disappunto di Matteo Renzi, bloccarono la riforma. Pd e FI hanno provato, senza successo, a presentare emendamenti: «Potevamo migliorare il testo della Camera per renderlo inattaccabile dai ricorsi ma il M5S si è accontentato di una norma manifesto», spiega la vice presidente del Senato Anna Russomando (Pd).
In evidenza sui maggiori quotidiani: Manovra, l’Europa avverte l’Italia; Taglio vitalizi al Senato, Medicina: stop al test. Poi il governo si smenitisce, Corsa al condono per 10 milioni di italiani, Migranti, altri sconfinamenti dalla Francia
«Stop al test di Medicina». Il governo poi smentisce. E diventato un caso politico e mediatico l’abolizione (poi smentita dal governo) del test per l’accesso a Medicina. La «bomba» scoppia intorno alle 10 di martedì mattina, quando su alcuni siti di informazione per studenti circola la notizia che il Consiglio dei ministri ha abolito la prova di accesso per gli aspiranti dottori. Sembra una «bufala»: anche perché al ministero dell’Istruzione cadono tutti dalle nuvole. Ma nel comunicato stampa di Palazzo Chigi, firmato dal sottosegretario Giancarlo Giorgetti e diffuso via mail poco dopo mezzanotte, c’è scritto: «Abolizione del numero chiuso nelle facoltà di Medicina, permettendo così a tutti di poter accedere agli studi». II come, il quando, il perché, non sono spiegati. E nessuno sembra avere idea di come quella voce sia finita al numero 22 dell’elenco delle «principali innovazioni introdotte» dalla legge di Bilancio. Scoppia il caos. II presidente dell’Istituto superiore di sanità Walter Ricciardi parla di «decisione folle». Una misura «sforna-disoccupati», secondo la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo). Ammettere tutti senza aumentare le borse di specializzazione (che quest’anno erano 7 mila, meno dei laureati e dei medici pensionandi) significa metterli in un «limbo». E infatti il tema è questo, l’ampliamento del numero degli ammessi alle facoltà, ma anche alle borse di studio per le specializzazioni. E questa la richiesta che i ministri Bussetti e Giulia Grillo (Salute) avevano portato in Consiglio: «E un auspicio condiviso da tutte le forze di maggioranza che il governo intende onorare», sottolineano nella nota dopo due ore. Palazzo Chigi invia la rettifica ufficiale per chiudere l’incidente, mentre si moltiplicano le illazioni su quale sia la causa: «Si tratta di un obiettivo politico di medio periodo», si legge nel comunicato. Tira un sospiro di sollievo l’Unione degli universitari: «Così facendo si rischia solo di mandare in tilt le Università». Passare da meno di 10 mila iscritti (ammessi quest’anno) a 65 mila (che ogni anno tentano il test), significa quadruplicare aule, docenti, risorse. «Decisioni di questa portata non si possono improvvisare», ammette il sottosegretario Salvatore Giuliano. Il nodo ancora poco chiaro della vicenda è chi ha scritto il punto 22. La versione non ufficiale, ma che comunque circola nel governo, è che qualcuno abbia fatto un “errore”, inserendo nel comunicato l’abolizione, sulla quale il Consiglio dei ministri non aveva deciso nulla, perché in passato, anche sul “Blog delle Stelle”, Giulia Grillo aveva parlato di una misura del genere. Ma c’è anche una lettura più maliziosa. Potrebbe essere stata una scelta volontaria, di qualcuno vicino al leader della Lega Matteo Salvini, che aveva detto di gradire l’abolizione del numero chiuso. Del resto anche Bussetti avevano preso una posizione simile. Lui e la Grillo però non si aspettavano di trovarsela in quei termini nella prima manovra del governo gialloverde.
Politica estera
L’uomo di Trump alla corte saudita trova l’intesa sul caso Khashoggi. Strette di mano, sorrisi davanti ai fotografi. Gli incontri del segretario di Stato Mike Pompeo con i dirigenti sauditi a Riad sembravano una cosa di routine e non la consultazione per trovare una soluzione al caso di Jamal Khashoggi, il giornalista scomparso il 2 ottobre al consolato di Istanbul. Poi è venuto il momento della discussione. Il capo della diplomazia americana ha parlato per circa 15 minuti con re Salman, quindi per 40 minuti con il principe Mohammed, oggi al centro di mille indiscrezioni. Pompeo ha ringraziato il sovrano per il suo impegno in un’inchiesta «trasparente» e tempestiva. L’erede al trono ha esaltato l’azione comune contro le sfide presenti e future, l’emissario statunitense ha risposto: «Assolutamente». Ambienti di palazzo hanno riferito di una discussione sincera e diretta. Washington, pur salvaguardando la sacra alleanza, ha la necessità di trovare risposte sulla sorte dello scomparso. Trump ha rivelato di aver parlato di nuovo con Mohammed che gli ha detto di non saper nulla di quanto è avvenuto ma, nel contempo, ha già iniziato un’indagine profonda. Per il presidente i chiarimenti arriveranno presto. L’idea è che i sauditi ammettano la responsabilità di loro agenti nell’omicidio dell’esule: dovevano interrogarlo ma hanno finito per ucciderlo all’interno della rappresentanza diplomatica. Membri fuori controllo — è la scusa — che hanno agito di loro iniziativa. Una via di fuga improbabile che però la diplomazia di Usa, Turchia e Arabia vuole vendere al pubblico, pur consapevole che nessuno ci crede. Anche perché il New York Times ha sostenuto che l’operazione contro Jamal è stata organizzata da un alto funzionario molto vicino a Mohammed e la cui missione era quella di riportare il target, con la forza, in patria. Aspetti che saranno discussi oggi da Pompeo ad Ankara. Qui, oggi, si svolgerà la parte più delicata della missione, quella da cui si capirà che piega prenderà la crisi. Al presidente turco Recep Tayyp Erdogan, che da ormai 15 giorni tiene sotto pressione i sauditi dosando le rivelazioni dei suoi servizi segreti, Pompeo dovrà riferire la proposta saudita: Erdogan aveva condiviso con Riad e con Washington la registrazione che documenta il sequestro, la tortura e l’omicidio del giornalista all’interno del consolato. L’audio, secondo fonti turche, dimostra che non ci fu nessun tentativo di interrogare Khashoggi e che gli furono inflitti 7 minuti di torture prima della morte. Dopo averne preso visione, la corte saudita due giorni ha fatto filtrare la possibilità di un’ammissione di responsabilità. I sauditi sarebbero pronti a riconoscere la morte di Khashoggi per mano di una squadra “non autorizzata” che avrebbe avuto il compito di riportarlo in patria. In cambio la Turchia accetterebbe di chiudere la vicenda. Quale sia il prezzo dell’accordo — sostegno per la traballante economia turca, allentamento dell’isolamento del Qatar, stretto alleato turco, da parte di Riad, qualche forma di contropartita in Siria — al momento è noto solo a Mike Pompeo e alla sua delegazione.
Un altro blitz a Claviere, Salvini accusa Parigi. Gendarmi francesi come «scafisti». I due militari d’Oltralpe, al momento ignoti, che venerdì scorso sono stati sorpresi da personale della Digos di Torino ad abbandonare in territorio italiano, in alta Val di Susa, tra i boschi di Claviere e Cesana, una coppia di migranti, saranno indagati per il reato di immigrazione clandestina. Per aver «trasportato stranieri nel territorio dello Stato e compiuto atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio italiano». E stato il procuratore capo Armando Spataro, ieri, a spiegare le contestazioni sollevate dalla procura. E nel farlo ha svelato un’altra indagine, su un precedente sconfinamento. L’incursione di una pattuglia di militari in mimetica, i volti camuffati alla maniera dei corpi speciali, con fucili d’assalto Famas, in uso all’esercito francese, denunciata da due cittadini di Claviere: un commerciante e un minorenne. Entrambi, in due momenti differenti, sono stati fermati in territorio italiano dai militari, «minacciati con le armi», invitati «a non fare menzione di quell’incontro», perché «sapevano dove abitavano». Tutte e due hanno presentato denuncia ai carabinieri. Ma la questione ora va ben al di là delle conseguenze giuridiche sui confini violati. Nel botta e risposta tra Viminale ed Eliseo, Matteo Salvini non lesina mazzate. Definisce «vomitevole» l’azione francese, e la scelta dell’aggettivo non è casuale. Quanto ai nuovi episodi, che definisce «inquietanti», chiude la porta alle scuse per lo sconfinamento dei due gendarmi. «Non ci interessano le giustificazioni, peraltro ridicole, né le indagini interne dei francesi. Parigi deve comunicarci immediatamente le identità degli immigrati lasciati nei boschi. Nomi, cognomi, nazionalità, date di nascita. La gendarmeria è abituata a scaricare delle persone in mezzo al nulla? L’ha fatto anche con dei minori? Ci sorprende la timidezza dell’Europa e degli organismi internazionali, solitamente solerti a bacchettare l’Italia». Gli risponde così Parigi: «È un errore, la prefettura l’ha riconosciuto. C’è stata un’incursione, non prevista, né conforme alle consegne, in territorio italiano, dove sono state lasciate due persone. Ma bisogna relativizzare le cose, non farne una strumentaliz.Jazione politica individuale». Intanto sempre sul versante immigrazione la notizia che i tribunali amministrativi d’Oltralpe bocciano i rinvii verso l’Italia dei “dublinati”, i profughi registrati nel nostro Paese, in nome delle convenzioni internazionali. Agli occhi di alcuni magistrati francesi, l’Italia non appare più come un paese sicuro e capace di garantire lo status di rifugiato politico. Una giurisprudenza inedita, confermata da diversi Tar, che impedisce alle Prefetture di procedere ai decreti di espulsione. Il nuovo quadro legale sta provocando irritazione nelle autorità francesi e spiega in parte l’inasprimento dei respingimenti alla frontiera, con frequenti irregolarità come si è visto a Claviere.
Economia e Finanza
Manovra, sforbiciata a Industria 4.0. Il governo gialloverde conferma di puntare sul rilancio degli investimenti pubblici per sostenere la crescita e nel Documento programmaticodibilancio trasmesso a Bruxelles mette nero su bianco le risorse: 15,4 miliardi aggiuntivi nel triennio, attivabili tutti subito. In sostanza raddoppiano le risorse disponibili. Nella manovra anche il fronte degli investimenti privati, costituito da un mix di interventi di segno diverso: all’abolizione dell’Ace si risponde con la mini-Ires per gli utili reinvestiti per macchinari e assunzioni stabili, ma solo se incrementali rispetto al 2018. Si riduce la portata del programma di maxi-ammortamenti per acquisto o leasing di beni strumentali: il superammortamento si fermerà a fine anno, mentre viene prorogato per il 2019 l”‘iper” sui beni legati alla digitalizzazione 4.0, ma con tre sole aliquote: al 250%fino a 2,5 milioni, 200% fino a 10 milioni, 150% fino a 20 milioni. La manovra non diminuirà la pressione fiscale: il 68,8% delle coperture aggiuntive rispetto al deficit arriva da maggiori entrate, lasciando ai tagli di spesa solo 3,6 miliardi. E nel capitolo delle entrate tocca a imprese e banche il ruolo da protagoniste: arriva da loro almeno il 79,5% tra aumenti per 64 miliardi dal settore finanziario e addio all’Ace. Tagli ai ministeri per 2,5 miliardi e niente fondi per i contratti Pa. Intanto la Commissione europea sta già analizzando la Finanziaria per il 2019. Il testo non piace, perché in evidente contrasto con il Patto di Stabilità. «Le finanze pubbliche italiane mi preoccupano molto, ma non abbiamo pregiudizi, discuteremo con i nostri amici italiani nello steso modo in cui discutiamo con gli altri paesi membri, non ci sono pregiudizi», ha detto il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, parlando ieri a un gruppo di emittenti radiotelevisive italiane. Secondo il Corriere della Sera dovrebbe arrivare entro la fine di questa settimana la comunicazione con la quale la Commissione europea respinge la bozza del piano di bilancio dell’Italia. Sarebbe la prima volta che questa possibilità di bocciatura diretta prevista dal 2012 dal Patto di stabilità viene applicata, e l’esecutivo di Bruxelles in queste ore sta cercando di accelerare tutti i passaggi con l’invio di una lettera preliminare di consultazione a tutti i governi europei. L’esito della richiesta di opinioni è per molti aspetti già scontato: nessuno degli altri 27 governi dell’Unione europea (inclusa per adesso Londra) e dunque anche degli altri 18 Paesi dell’area euro ritiene che la proposta di bilancio dell’Italia sia in regola.
Cominciata la corsa al condono per oltre dieci milioni di italiani. Il colpo di spugna proposto dal governo gialloverde sta catalizzando l’interesse degli italiani. Dalle multe non pagate e dimenticate nel fondo di un cassetto, all’ansia per la visita della Finanza e relativo verbale, al senso di colpa per la sottostima dei redditi nell’ultima dichiarazione, alla cartella e relativa ingiunzione perché non si è pagato o non si poteva pagare. Nel mondo variegato e composito dell’evasione, dal Nord Est incallito che gonfia i costi al Sud che scompare nel sommerso, l’intesa tra Di Maio e Salvini rischia di far tornare il sorriso. “Quattro condoni quattro”, per grandi e piccoli (1000 euro, rottmazione ter, liti e integrativa), sono pronti al decollo. La sanatoria che investe la lunga filiera fiscale moltiplica il numero degli interessati: difficile fare un calcolo, la banca dati dei debitori dell’Agenzia della riscossione contiene 20 milioni di codici fiscali, alcuni hanno già partecipato alle vecchie rottamazioni, altri hanno rateizzato, di sicuro sono 10 milioni coloro che hanno i debiti sotto i 1.000 euro che verranno cancellati. Comunque sia, milioni di italiani. Ma il decreto fiscale varato lunedì notte dall’esecutivo sembra già destinato a essere corretto. Il testo del decreto finirebbe infatti per premiare gli evasori più incalliti e non quelli per necessità, che hanno dichiarato al fisco fino all’ultimo centesimo dei propri guadagni ma non sono poi riusciti a pagare tutte le imposte. In pratica è uscita fuori la soluzione contraria a quella cui puntavano tutti, compresi i grillini che sulla pace fiscale hanno sempre storto il naso. Per non parlare della Lega: i parlamentari del Carroccio, accortisi dell’errore, sono preoccupatissimi e si preparano a modificare il provvedimento nel corso dell’esame parlamentare. Il meccanismo varato dall’esecutivo stabilisce la possibilità di chiudere le pendenze con il fisco pagando solo il 20% sul maggiore imponibile che viene dichiarato. Secondo la norma sarà possibile regolarizzare la denuncia mancata o parziale con una dichiarazione integrativa, purché la somma non superi il 30% il reddito denunciato, e i 100mila euro. Il risultato non piace alla Lega. A riassumere l’urgenza di una correzione in corsa è Armando Siri, sottosegretario ai Trasporti e ideatore della flat tax. «Allo stato attuale sei hai delle cartelle indietro ti togliamo le sanzioni e gli interessi, ma il capitale lo devi versare tutto sebbene a rate. Ci sono cittadini in regola con le dichiarazioni dei redditi — osserva Siri — che però non possono rateizzare perché non hanno soldi, sono in difficoltà economica, se dovessero fare questa rottamazione come proposta finora rischierebbero di pagare cifre enormi e non alla loro portata».