Politica interna
Nomine. Resta ancora irrisolto il nodo della Vigilanza Rai e del Copasir, a riprova di una frizione interna ai gialloverdi anche rispetto al ruolo da riconoscere alle opposizioni. Scade infatti oggi il termine fissato dai presidenti di Camera e Senato per consegnare la lista dei componenti delle due commissioni, ma è evidente che non verrà rispettato. I grillini propongono ai leghisti un nome per la rete ammiraglia, Salvini dice no e rilancia: a noi anche il Tg2. Di Maio punta al dg. L’11 luglio il Mise dovrà indicare il nome del direttore generale senza parlare della partita in Parlamento. Una cosa è certa, mentre Salvini ha tanti nomi al suo arco da poter scoccare quando e come vuole, per i pentastellati trovare fedeli di lunga data è pressoché impossibile, a meno che non ci si affidi ai grillini dell’ultima ora, tanti è vero ma poco affidabili. Visto che Vigilanza e Copasir viaggiano appaiate e che, come consuetudine vuole la presidenza viene affidata alla minoranza, sembra che la prima vada a Forza Italia con Paolo Romani e il Comitato di controllo sui Servizi al Pd con Lorenzo Guerini.
Centrodestra. Nelle ore in cui si accende il confronto sul Dl Dignità, Forza Italia con Antonio Tajani prova a ricordare a Matteo Salvini la sua originaria appartenenza. L’appello è quello a mettere da parte al più presto l’anomalia gialloverde e investire nel centrodestra, decisamente maggioritario nel Paese. «Governare con il M5s è contro natura per la Lega. Credo che sia giusto che torni a casa, con il centrodestra, con Forza Italia e Fratelli d’Italia», è l’appello del presidente del parlamento europeo al Gr Rai. Quello che dice Salvini per le prossime elezioni europee (ovvero che saranno uno scontro «tra noi e le élite Ue») «mi sembra molto propaganda nazionale». Critica anche la capogruppo di Forza Italia alla Camera, Mariastella Gelmini, che così si esprime sul progetto super Lega dei populisti lanciata da Pontida: «E’ legittimo che Salvini voglia provare a replicare un progetto populista in Europa. Non penso sia però la strada giusta per superare i problemi che vive oggi l’Ue. In queste settimane abbiamo sperimentato come alzare i toni da un lato porti consenso in patria, ma dall’altro possa relegare il nostro Paese all’isolamento internazionale».
Economia e finanza
Lavoro. Il decreto legge varato ieri sera dal Consiglio dei ministri contiene un pacchetto fiscale “leggero” e misure sul lavoro: cambia il Jobs Act con il raddoppio delle indennità per i licenziamenti senza giusta causa; stretta sui contratti a termine, che non potranno durare più di due anni e andranno giustificati dopo i primi 12 mesi. Nel testo anche la stretta antidelocalizzazioni: multe salate per chi se ne va entro 5 anni. Sostiene Di Maio che il decreto dignità è «solo un primo passo avanti»: il governo infatti ha dichiarato guerra alla precarietà, «licenzia il Jobs act», e per rendere l’occupazione davvero più stabile entro il prossimo anno promette di abbassare il costo del lavoro. «Lo faremo con la prossima legge di Bilancio» ha assicurato ieri il ministro del Lavoro e dello sviluppo.
Dazi. «Non c’è alcuna minaccia all’industria auto americana»: lo scrive la Ue al Dipartimento del Commercio Usa, sottolineando i rischi di eventuali dazi contro i produttori di auto europei, che anzi «contribuiscono con 120mila posti di lavoro diretti in Usa e 420mila con i fornitori». I dazi produrranno danni per 14 miliardi agli Usa, oltre alle contromisure Ue su 300 miliardi di importazioni dagli Stati Uniti. La «guerra dei dazi» commerciali innescata dall’ amministrazione Trump, con una risposta altrettanto dura minacciata dall’Unione europea, non conviene a nessuno. Nel Vecchio come nel Nuovo continente e l’Italia ha tutto da perdere davanti ai mercati mondiali sempre più chiusi. Per questo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella — invitato dalla Università Luiss a prendere la parola all’n° Forum internazionale della cultura del vino — si è appigliato alla «speranza che l’improvvida stagione di minaccia di dazi non abbia un eccessivo sviluppo e non crei difficoltà».
Politica estera
Messico. Chissà se stanotte Andres Manuel Lopez Obrador avrà dormito nella sua modesta abitazione di Tlalpan, quartiere periferico di Città del Messico, oppure, per ragioni di sicurezza, gli sarà stato imposto un altro domicilio. L’unica certezza è che il presidente eletto Amlo (è questo il suo diminutivo) ha stravinto le presidenziali superando la soglia del 53% dei voti. Enorme il distacco inflitto al suo avversario, Ricardo Anaya, di centro destra. Definirla una rivoluzione, pacifica, non è esagerato. AMLO, come lo chiamano i sostenitori, ha invitato il Paese alla pace: «La patria viene prima di tutto. Amor con amor si paga». Quindi ha rassicurato chi teme diventi il Chavez del Messico: «Punteremo a stabilire una democrazia autentica. Si garantiranno tutte le libertà individuali e sociali, così come i diritti civili e politici consacrati nella nostra costituzione».
Pace Merkel-Seehofer. Il ministro dell’Interno tedesco Horst Seehofer ha ricucito lo strappo con la cancelliera: «Accordo raggiunto sui migranti», annuncia in tarda serata il leader dei bavaresi, di fatto chiudendo la crisi apertasi a Berlino sulle politiche migratorie. Secondo quanto annunciato da Merkel, «ci saranno centri di transito in Germania dove i migranti verranno identificati per stabilire se hanno già chiesto asilo in altri Paesi europei». Quando Horst Seehofer si ritrova con una selva di microfoni sotto al mento, poco dopo le dieci di sera, ha cinque difficili ore di negoziato alle spalle. Ma è chiaro che il risultato emerso dai colloqui serrati tra i vertici ristretti del suo partito e i maggiorenti della Cdu, è anzitutto che le sue poltrona di ministro dell’Interno e capo dei cristianosociali sono salve. Il difficile accordo contiene però una pessima notizia per Paesi come l’Italia, che si sono categoricamente rifiutati di fare accordi con Angela Merkel.