Dovrebbero essere il fulcro del reddito di cittadinanza, ma allo stato attuale i 501 centri per l’impiego italiani segnalano problemi di organico e di dotazioni informatiche. Dall’ultimo monitoraggio sul 2017 dell’Anpal, l’Agenzia nazionale delle politiche attive, risulta che le forze in campo sono circa 8mila e per ogni addetto ci sono 360 persone in cerca di lavoro da seguire. «Nel 2o17 abbiamo accolto quasi 80 mila persone allo sportello, registrato oltre 23 mila dichiarazioni di disponibilità e 25 mila patti di servizio, effettuato 18 mila colloqui individuali e di orientamento specialistico, oltre agli avviamenti al lavoro e agli stage. Il tutto con 74 dipendenti in sei strutture diverse, di cui 7 a termine, sempre di meno visto che negli ultimi 3 anni ne abbiamo persi 22». A parlare è Diana Melocco, a capo del centro per l’impiego di Treviso, che precisa: «Con la crisi il target si è ampliato e diversificato: abbiamo molti giovani, ma anche disoccupati over 5o. Nei primi quattro mesi del 2018 i colloqui sono più che raddoppiati, con un aumento del 75%dei cv pubblicati». Treviso è solo un caso del `virtuoso” Nord Est, dove i centri per l’impiego lanciano meno segnali di allarme sulla carenza di strumenti tecnologici rispetto ad altre zone. Appare così lampante come un po’ dovunque ci sia “scarsità” di forze in campo in quegli uffici pubblici che dovrebbero essere il fulcro del reddito di cittadinanza, uno dei pilastri del nuovo Governo. Gli operatori in Italia sono poco meno di 8mila in 501 strutture, uno zero virgola rispetto ai 110 mila tedeschi, ai 45 mila francesi e ai 60 mila della Gran Bretagna. C’è quindi ben poco da stupirsi di fronte ai dati Eurostat che evidenziano come nel nostro paese, su 3o miliardi spesi l’anno per le politiche del lavoro, 22,3 vadano alle politiche passive (sussidi monetaria disoccupati e cassintegrati), circa 7 a quelle attive (compresi gli incentivi all’assunzione) e appena 700 milioni ai servizi per l’impiego. In pratica una spesa di poco più di 200 euro per disoccupato, mentre in Germania se ne “investono” oltre 6 mila, in Olanda 3 mila e in Francia 1.800. E mentre non è ancora chiaro come l’esecutivo giallo-verde intenda spendere i 2,1 miliardi che ha annunciato di voler investire sui centri per l’impiego.
Aquante persone dovrebbe trovare lavoro un Centro per l’impiego (Cpi) che funzioni? «Al 10-15% di chi bussa alla sua porta» stima Maurizio Del Conte, presidente dell’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro che coordina i 552 Cpi d’Italia. E a quante effettivamente lo trova? «A meno del 3%». Spostandosi dai numeri agli esempi il quadro non cambia, peggiora. «Gli uffici non condividono i dati – prosegue -, neanche quando sono vicini di casa come Lecco e Como. Con il risultato che un aspirante infermiere non vede se l’ospedale dell’altra città ha un posto vacante. Arriviamo al paradosso di poter visualizzare sul portale europeo Eures le proposte della Grecia ma non quelle della provincia a fianco». Ma perché i Cpi non funzionano? Scarse risorse (meno dello 0,05% del Pil mentre la media europea è dello 0,21%, dati Eurostat), scarso personale (7.900 addetti, di cui oltre mille precari, contro i 100.000 della Germania), scarse competenze (il 12% ha solo la licenza media), scarsa chiarezza sui ruoli di Regioni e Stato. Un guazzabuglio che ha origini lontane ma oggi, ancora di più, torna d’attualità. I Centri sono gli eredi dei vecchi uffici di collocamento, cancellati da una legge del 1997 che ne cambiò il nome in Cpi, di competenza regionale. Nell’ambito del Jobs Act, il governo Renzi creò l’Anpal, che avrebbe dovuto esercitare il controllo sui Centri. Ma il referendum costituzionale fu bocciato e la materia è rimasta concorrente tra Stato e Regioni. Con il governo M5S-Lega, i Cpi tornano protagonisti perché saranno loro a prendere in carico i beneficiari del reddito di cittadinanza, qualora ci sarà. Il ministro del Lavoro Luigi Di Maio promette di finanziarli con 2 miliardi. Basteranno? «Sono utili ma non sufficienti – commenta il presidente Anpal -. Do per scontato che sia un investimento annuale altrimenti non serve». Secondo l’Osservatorio dei consulenti del lavoro, nel 2015 l’Italia ha destinato 750 milioni di euro per i servizi pubblici per l’impiego, mentre la Germania 11 miliardi e la Francia 5,5 miliardi. Confronto impietoso anche per il personale, rispettivamente 7.900 («il 22% dei quali in Sicilia, che però non ha performance migliori» dice Del Conte), 100.000 e 50.000. Ma è anche questione di competenze. «In molti Cpi sono stati assorbiti dipendenti di altri enti pubblici che non hanno formazione specifica» conferma Del Conte. Come invertire la rotta che vede molti italiani rivolgersi a amici e parenti per trovare lavoro? «Investendo di più – osserva Spattini – e poi, come già proponeva la legge Biagi, lavorando a un sistema integrato di servizi pubblici e privati».