Erano quasi le tre del pomeriggio di venerdì scorso quando Magie Touray, gambiano, classe 1996, arrivato in Italia tredici mesi fa con un barcone proveniente dalla Libia e alloggiato in un centro d’accoglienza con un permesso di soggiorno provvisorio che sarebbe scaduto agli inizi di luglio, ha visto interrompersi prematuramente la sua carriera di presunto militante del Daesh. Touray era appena uscito dalla moschea di Pozzuoli, e in un attimo, senza avere il tempo di rendersene conto, si è trovato circondato e immobilizzato da carabinieri del Ros e agenti della Digos della questura di Napoli. Da poco meno di ventiquattr’ore gli investigatori non avevano più dubbi che fosse lui l’uomo inquadrato in un video — diffuso via chat sulla piattaforma Telegram — mentre pronuncia il giuramento al califfo Abu Bakr Al Baghdadi, e quindi allo Stato Islamico. Un video captato dall’antiterrorismo spagnolo e trasmesso alle strutture di intelligence del nostro Paese. Dove l’indagine è stata veloce anche perché l’esperienza ha insegnato agli investigatori che la registrazione e la diffusione del giuramento è abitualmente il passo che precede l’esecuzione di un attentato. Cosa che sarebbe potuta avvenire anche nel caso di Magie Touray, perché è stato lui stesso, durante il secondo interrogatorio al quale lo hanno sottoposto i magistrati del pool della Dda di Napoli che si occupa di terrorismo, ad ammettere che i suoi reclutatori lo avevano incaricato, promettendogli in cambio 1.500 euro, di eseguire una azione stragista lanciandosi con un’auto tra la folla.