«Non ci sono prove» ha spiegato la polizia slovacca mandando liberi i tre fratelli Vadalà e gli altri quattro calabresi sospettati in un primo momento di aver ucciso Ján Kuciak e la fidanzata sua Martina Kušnírova. I contraccolpi del caso a livello politico non sono terminati per questo: dopo la Troskova, Jasane e Marek Maďarič, si sono dimessi anche e Igor Janckulik, del partito della minoranza magiara Most-Hid, e Roman Sipos, capo di gabinetto del premier.
«A Bova Marina (in Calabria), ha aperto la porta di casa al Corriere il padre dei tre fratelli Vadalà. È lui a ipotizzare uno scambio di persona, un caso di omonimia. “I miei ragazzi sono lavoratori onesti” dice Giovanni Vadalà (Cappeddazzu). “Siamo persone perbene, il nostro certificato penale è cristallino e non c’entriamo nulla con altri Vadalà”. Giovanni, un omaccione di 80 anni, mostra le mani callose eredità del passato da muratore in giro per l’Europa. Si limita a dire che gli slovacchi sono stati “scostumati e maleducati” nei confronti dei suoi figli “però almeno i giudici sono stati onesti. Fosse accaduto in Italia chissà quando avrei potuto rivedere i miei figli”