[nextpage title=”di Concetta Colucci” ]
120 fotografie in bianco e nero, scatti realizzati tra gli anni Cinquanta e Sessanta, immagini a colori scattate negli anni Settanta, alcuni filmati in super 8.
Sono le foto che raccontano Vivian Maier e il modo in cui osservava il mondo e gli oggetti che lo compongono.
Una fotografa ritrovata è il viaggio nella vita di un’artista, diventata un fenomeno mondiale, grazie al incanto del suo occhio: le sue opere contengono tutto il fascino di un’artista, una donna appassionata della vita che fermava in ogni scatto e che, con la stessa passione, non ha mai mostrato a nessuno le sue opere conservandole come il bene più prezioso.
La mostra, che durante il 2017 è stata già ospitata dal Museo Intrastevere a Roma e dal Palazzo Ducale Di Genova, è ora a Catania presso la Fondazione Puglisi Cosentino.
Vivian Dorothea Maier era una fotografa di strada americana, vissuta tra due continenti: Stati Uniti ed Europa, a cavallo della Seconda Guerra Mondiale.
Nacque nel 1926 a New York, nel Bronx. Quando i suoi genitori si separarono, era una bambina e con sua madre, si trasferì da una sua amica, una fotografa professionista. Negli anni Trenta le due donne e la piccola Vivian tornarono in Francia, terra di origine di sua madre e qui Vivian trascorse la sua infanzia fino ai dodici anni. Nel 1938 tornarono a New York.
Il primo lavoro di Vivian fu quello della governante, con una famiglia a Southampton, poi, si trasferì a Chicago, fu ancora governante e lo fu fino alla fine dei suoi giorni. Visse la fine della sua vita in povertà. Vivian Maier è morta il 21 aprile 2009.
Scattò oltre 100.000 foto, ma il suo lavoro è rimasto sconosciuto fino a quando John Maloof lo trovò per caso.
Vivian Maier potrebbe essere chiunque, una delle persone incontrate per caso nella nostra vita, potrebbe essere uno dei nostri amici, il nostro vicino potrebbe essere Vivian.
E’ spesso paragonata al simbolo di tutte le bambinaie: era Mary Poppins quando portava i ragazzi in gita, fra i campi di fragola, quando organizzava giochi con gli altri bambini della strada.
Ma era anche uno spirito libero, non aveva amici era single, aveva una sete di cultura che l’ha portata a girare il mondo, dal Canada al Sud America, dall’Europa all’Asia. Le sue foto ritraggono spesso bambini, ma nessuno sa quello che fa, tranne i bambini che appaiono nei suoi scatti.
Forse non conosceremo Vivian Maier mai, né mai sapremo mai chi era veramente: una babysitter con la passione della fotografia ed un’artista magnifica.
Una donna diventata un fenomeno di popolarità perché la sua storia è stata resa nota ai tempi del web.
Era una donna solitaria con un accento francese e l’aspetto imponente, di raffinatissimi gusti, la cui cultura nascondeva bene dietro la macchina fotografica e sotto la sua identità di bambinaia.
John Malof, un giovane agente immobiliare, si imbatté nella strabiliante vita di Vivian, vendendo all’asta il contenuto di un magazzino confiscato per un mancato pagamento e acquistato per pochi dollari. Fu così che fece una scoperta sconcertante: scatoloni pieni di foto, stipati in un deposito. Malof decise di vendere tutto su ebay, in un periodo storico in cui i social network e le potenzialità di internet erano ancora tutte da scoprire.
E si scoprì che Vivian era un genio nella capacità di identificare i soggetti, gli angoli interessanti, le espressioni significative, i momenti parlanti. Nessuno l’ha mai conosciuta fino alla sua scomparsa, chi fu questa colta, metodica, instancabile fotografa di strada? Perché nascose la sua passione, perché amava ritrarre i bambini e i poveri?
Seppe interpretare gli anni del grande fotogiornalismo, le sue fotografie mostrano competenza tecnica e talento, utilizzò la fotografia a colori e continuò ad aggiornarsi tramite corsi e conferenze.
Non fu una bambinaia fotografa, semmai una fotografa che per vivere, e per potersi pagare la sua passione vitale fece la bambinaia.
Affamata di vita reale, come di chi la scopre per la prima volta prelevando dalla strada il senso della sua ispirazione e dai suoi viandanti. Quel magazzino scoperto da Malof conserva la narrazione di un viaggio che ha attraversato il mondo non saziandosene mai, in una continua ricerca di appropriazione tramite immagini
Decine di migliaia di scatti, negativi non stampati, rullini non sviluppati, che si accumularono nelle scatole da scarpe. Spicca la presenza di numerosi autoritratti, un enorme lascito per un pubblico con cui non ha mai dialogato. Il suo sguardo austero, riflesso nelle vetrine, nelle pozzanghere, la sua lunga ombra che incombe sul soggetto della fotografia diventano un tramite per avvicinarsi a questa figura imponente ma discreta.
27 ottobre 2017 – 18 febbraio 2018
Informazioni e prenotazioni: T. + 39 095 883 791
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