Politica interna
Il Pd: corteo a Como contro gli skinheads. In piazza il 9 dicembre a Como, «contro ogni intolleranza». Il Partito democratico sceglie la mobilitazione popolare per scuotere le coscienze dopo il blitz dei 13 neofascisti di Veneto Fronte Skinhead, nella sede di “Como senza frontiere”, l’associazione che si occupa di accoglienza degli immigrati. Una reazione decisa da Matteo Renzi e dal suo vice, il lombardo Maurizio Martina, anche per “stanare” la destra che continua a non sbilanciarsi, a prendere le distanze ma non fino alla condanna esplicita di quanto avvenuto. C’è una diffusa resistenza, da quella parte politica, al riconoscimento che è trattato di un atto di violenza. L’evento di martedì sera però divide la Lega. Il segretario Matteo Salvini sostiene che il problema non sono quei ragazzi ma «l’immigrazione fuori controllo». Invece il “suo” governatore Roberto Maroni, alla guida della Regione in cui è avvenuta l’irruzione squadrista, si spinge ben oltre e se la prende proprio con la destra che non condanna. Intervistato da Repubblica il governatore lombardo alla domanda se non ritiene che il centrodestra abbia sottovalutato il blitz dei neofascisti risponde: «Certamente sì. Fatti come questi non sono atti di violenza, ma forse sono ancora più gravi». «Perche quanto è accaduto evoca immagini di un passato di cui francamente nessuno ha nostalgia. Dopo di chè non si è trattato di violenza fisica, ma sono fatti pericolosi. Perché questo virus può contagiare i giovani, che oggi sono perennemente in cerca di un centro di gravità permanente. Questo è un pericolo contro il quale non bisogna lasciare spazio a coperture politiche di nessun tipo».
La priorità di Berlusconi: convincere gli astenuti per sfondare quota 20%. Competizione aperta con gli awersari (e con gli alleati), ma senza «farsi coinvolgere nella rissa». Una serie di messaggi diretti a un ceto medio sempre più sfiduciato e alla ricerca di un approdo politico sicuro. Ma anche una domanda che ricorre nelle riunioni e nei focus group che Silvio Berlusconi organizza allo scopo di ascoltare il più possibile la voce del Paese: cosa fare per rompere il muro di diffidenza eretto da coloro che si sono ad tempo rifugiati nell’astensione? Dalle parti di Arcore c’è la convinzione che si stia entrando in una fase decisiva nel percorso di avvicinamento verso le elezioni e che parlare agli scontenti, ovvero a coloro che sono privi di una casa politica, sia fondamentale. I sondaggi certificano che il sorpasso di Forza Italia ai danni della Lega è ormai consolidato – la rilevazione Agi/Youtrend di ieri assegna al partito azzurro il 15,6%, con il Carroccio staccato di quasi due punti al 13,7% e Fratelli d’Italia al 5% – e anche attraverso questa lente – secondo gli azzurri – va letto il nervosismo della Lega. Berlusconi è convinto che il suo ritorno sulla scena e il rinnovato attivismo di Forza Italia possano agire come un detonatore, riaccendendo la fiamma dell’entusiasmo a livello locale. Inoltre il Cavaliere registra una tendenza verso il voto utile destinata a far crescere il peso dei consensi azzurri, soprattutto se il partito di Piazza San Lorenzo in Lucina riuscirà a risultare credibile su temi caldi come la sicurezza e il controllo dell’immigrazione. Qualche difficoltà potrebbe arrivare al Cavaliere sul fronte giudiziario. Nel traffico congestionato dei procedimenti penali che vanno e vengono da Milano per il caso Ruby ter, arriva da Siena un rinvio a giudizio che può dare qualche grattacapo al Cavaliere. Non è l’unico. La sola esistenza di un nuovo processo potrebbe avere un effetto negativo quando i giudici dovranno valutare se concedere a Berlusconi la riabilitazione che gli consentirebbe di candidarsi alle elezioni politiche dell’anno prossimo alla guida di Forza Italia.
Politica estera
Tensione alla Casa Bianca. Piano di Trump per silurare Tillerson. Il cambio della guardia ai vertici dell’amministrazione Trump e della sua politica estera è pronto: il Segretario di Stato Rex Tillerson verrà presto sostituito dal direttore della Cia Mike Pompeo, una scelta a sorpresa che rischia di gettare nello scompiglio il mondo diplomatico americano e internazionale già scosso dalle intemperanze della Casa Bianca. La poltrona di Pompeo alla guida dell’agenzia spionistica per eccellenza dovrebbe essere affidata un nuovo arrivato, il senatore repubblicano dell’Arkansas Tom Cotton. Il terremoto in arrivo, che dovrebbe essere formalizzato entro le prossime settimane e avvenire a cavallo del nuovo anno, è stato portato alla luce dal NewYorkTimes. II quotidiano ha indicato che il piano di transizione è stato messo a punto dal capo di staff della Casa Bianca, il generale John Kelly. Donald Trump ha ricevuto ieri Tillerson e si è limitato a dire «Rex è qui». La portavoce Sarah Huckabee Sanders ha a sua volta nicchiato affermando «al momento non abbiamo annunci sul personale». Non era un mistero che i rapporti tra Trump e Tillerson fossero avvelenati da tempo, con il presidente che aveva denigrato o sminuito pubblicamente gli sforzi diplomatici del suo Segretario di Stato, persino sulla delicata crisi con la Corea del Nord. Altro grave scontro interno era avvenuto sull’accordo nucleare internazionale con l’Iran come su quello climatico di Parigi, difesi da Tillerson e avversati da Trump. La posizione del segretario di Stato traballa almeno dalla fine di luglio. In quei giorni ci fu una riunione a tre al Pentagono: Tillerson e il segretario alla Difesa, James Mattis, spiegarono al presidente quali fossero le necessità in termini di fondi e di mezzi per salvaguardare gli interessi geopolitici ed economici degli Stati Uniti. Alla fine, Tillerson tirò le fila con alcuni consiglieri: «Trump è proprio un deficiente». A settembre l’ex amministratore della Exxon convocò una conferenza stampa per assicurare, invece che il presidente fosse «molto intelligente». Mike Pompeo ha 53 anni e nulla, o ben poco, che lo prepari a prendere davvero le redini della diplomazia americana. A meno di considerare formativa la breve esperienza di un anno quale leader della Cia, che però tutti concordano esser stata controversa per l’atteggiamento ultra-politicizzato portato nell’agenzia spionistica per eccellenza – già bruciata in passato da simili “errori”.
Il Regno Unito contro Donald e le ombre del razzismo. Il presidente americano Donald Trump è riuscita un’impresa epica, vista dall’osservatorio di Londra. Con un tweet di condivisione – seguito da un altro tweet per far sapere a tutti di non essersi sbagliato – ha riunito la scena politica britannica nel momento di massima confusione del Paese. Una platea in armi sotto i vessilli della Brexit, divisa come mai prima d’ora su ruolo e destino del Regno Unito nel pianeta, ha scosso compatta la testa alla nuova scivolata della Casa Bianca. Ci riferiamo al sostegno pubblico che Trump ha dato a un video twittato da “Britain First”, una simpatica banda di suprematisti bianchi, nati da una costola del British national party, organizzazione di stampo neo-fascista ai margini della politica e della vita del regno di Elisabetta. Il tweet presidenziale ha dato al gruppo una dignità mai avuta, innescando la reazione ferma di Theresa May, quella fiammeggiante del leader laburista Jeremy Corbyn, ma anche quella meno ovvia – salvo smentite prossime venture – dell’eurofobo Ukip, che ha preso con decisione le distanze dalle intemperanze dell’amico (Donald Trump è amico personale di Nigel Farage) d’Oltreatlantico.
«Non ho paura a dire che gli Usa sbagliano», ha detto Theresa May, dopo che già il portavoce di Downing Street aveva definito “un errore” i messaggi anti-islamici ritwittati dal presidente americano Donald Trump dal sito del gruppo di estrema destra britannico Britain First. La premier conservatrice non se la sente di cancellare la visita del presidente americano nel Regno Unito, al momento prevista per inizio 2018, come molti le chiedono, ma indica che «la data non è stata ancora fissata». È probabile che non verrà stabilita tanto presto: un modo per rinviarla senza annullarla. Non è detto che basterà a calmare gli umori a Londra, dove ieri si è tenuto un dibattito di emergenza sulla polemica alla camera dei Comuni, con accuse a Trump di «odio razziale» e appelli dei laburisti a dichiararlo «persona non grata».
Economia e Finanza
Banche, si riapre lo scontro – Etruria, il procuratore riapre il caso. Nel Pd torna il fronte contro Visco. La seduta della Commissione bicamerale d’inchiesta, dove ieri è stato ascoltato il procuratore di Arezzo Roberto Rossi, infiamma lo scontro sul crac di Banca Etruria. Per il Pd, che accusa la Banca d’Italia di non aver vigilato, il pm ha «scagionato» Pierluigi Boschi, padre di Maria Elena ed ex vicepresidente della banca fallita. E se il M55 denuncia una «situazione politica di gravità inaudita», i renziani vogliono le scuse: «Crolla il castello di fake teoremi». Il procuratore ha trovato «singolare» la scelta di Via Nazionale di «sostenere così fortemente l’aggregazione con la Popolare di Vicenza», istituto che già nel 2015 era sotto osservazione da parte della Vigilanza. E il passaggio chiave e il renziano Andrea Marcucci esulta: «La verità prima o poi viene a galla». Ai suoi Renzi chiede di calcare gli accenti sulle responsabilità della Vigilanza e di sottolineare come ciò che sta emergendo sia «incredibile, inenarrabile». E l’attacco finale al governatore Ignazio Visco, costretto a smentire (tramite «fonti» di Via Nazionale) che Bankitalia abbia mai sostenuto il matrimonio con la Popolare di Vicenza. Ma il Pd va giù duro, convinto che l’audizione riscriva la storia di Etruria. Matteo Orfini definisce «inquietante che Bankitalia abbia puntato sulla Popolare di Vicenza come player su cui riorganizzare un pezzo del sistema bancario». Enrico Marro, racconta sul Corriere della Sera che all’inizio da Palazzo Koch neppure volevano replicare. Ma poi la polemica politica è montata, inarrestabile. E «siamo costretti a spiegare come stanno le cose», dicevano dalla Banca d’Italia ieri pomeriggio, annunciando la nota che di lì a poco sarebbe stata diffusa sulle agenzie di stampa. Dietro le puntualizzazioni tecniche di Bankitalia, in realtà c’è una forte irritazione, perché la banca centrale legge nelle parole del procuratore della Repubblica di Arezzo, Roberto Rossi, un attacco politico, l’ennesimo, all’istituzione e al governatore. Per di più portato da un magistrato, osservano con stupore nello staff di Ignazio Visco, anche se è noto che Rossi è stato consulente della presidenza del Consiglio fino alla fine del 2015, quando a Palazzo Chigi c’era Matteo Renzi.
Jobs act, il governo pronto a raddoppiare gli indennizzi per i lavoratori licenziati. I contatti fervono tra Palazzo Chigi e i vertici del Pd. Sul piatto c’è una misura mirata a facilitare la trattativa con Pisapia e compagni: ad alto valore simbolico, perché impatta sul totem più caro a Matteo Renzi, il jobs act. II governo è pronto a far entrare nella legge di bilancio il rafforzamento dei risarcimenti previsti per i licenziamenti senza giusta causa: quegli indennizzi introdotti per mitigare l’abolizione dell’articolo 18. Si tratta dunque di un ritocco del jobs act sul punto più sensibile. Ma l’esecutivo non intende farsene carico con un proprio emendamento, bensì accettare nel caso le richieste di modifica in tal senso della sinistra. Per facilitare appunto la trattativa con Campo Progressista avviata dal Pd. La correzione sul contratto a tutele crescenti si dovrebbe tradurre in un raddoppio delle mensilità di risarcimento per il lavoratore licenziato, passando dalla forbice delle 4-24 attualmente previste, a 8-36 mensilità. La logica è quella di rendere meno conveniente per le imprese il lavoro precario rispetto al lavoro stabile. Una misura che riguarderebbe i licenziamenti individuali e che andrebbe a integrare quanto già inserito nella manovra dal governo per i licenziamenti collettivi, con il raddoppio della “tassa di licenziamento” portata già da 1.470 euro a 2.940 euro. Intanto ieri il capo dello Stato con i Cavalieri del Lavoro ha parlato di ripresa ed occupazione. La ripresa c’è e ora ha «ritmi più sostenuti, un risultato a cul miravamo», riconosce il presidente della Repubblica. Tuttavia, avverte, «non possiamo sentirci appagati». Per lui, infatti, se è vero che «sono migliorati i livelli occupazionali, che il mercato del lavoro suscita attese positive e la crescita del Pil supera le previsioni», è altrettanto vero che questa ripartenza «non ha ancora ben inciso sugli squilibri creati dalla crisi, che vanno affrontati e colmati». Uno per tutti: il dramma dei giovani, perché «sono loro ad aver pagato di più il prezzo della crisi».