Da Genova a Verona, dall’Aquila a Catanzaro, si voterà in oltre mille centri: il 25 i ballottaggi. Si voterà ben dopo le primarie del Partito democratico: l’11 giugno al primo turno e il 25 dello stesso mese, in caso di ballottaggio. Tra le primarie e le Amministrative, nella prima settimana di maggio, arriverà in Aula, come ha deciso ieri la conferenza dei capigruppo, la legge elettorale. Le elezioni amministrative riguarderanno 9,2 milioni di italiani, residenti in 1.021 Comuni. L’attenzione sarà concentrata soprattutto su alcune grandi città: i quattro capoluoghi di regione e una manciata di città capoluogo di provincia. Né a Palermo né a Genova il Pd presenta un proprio candidato. Nel capoluogo siciliano appoggia íl sindaco Leoluca Orlando, che ha voluto una coalizione senza simboli di partito.
Il Pd si presenta con un listone che si chiama «Democratici e popolari». Scelta che ha provocato la dura reazione di Andrea Orlando, candidato alle primarie nazionali dei dem: «Credo che la questione di Palermo sia il segno che un partito prostrato non può aspirare a nessun protagonismo». Anche un gruppo di senatori contesta la scelta e «l’alleanza trasversale con forze estranee al centrosinistra», ovvero con il gruppo di Angelino Alfano. Vista la situazione, Alessandro Di Battista dei 5 Stelle prova ad affondare il colpo, su Facebook: «Questo è íl simbolo con il quale il Pd, con Alfano, si presenterà a Palermo alle prossime elezioni. Cambiano i simboli, scendono a compromessi con la coscienza, con “portatori di voti” e faranno sempre di più». Di riforma elettorale si parlerà soltanto a maggio e un mese dopo le amministrative rischiano di avere riflessi anche sul governo Gentiloni. C’è un primo elemento di chiarezza: di riforma elettorale si discuterà a maggio.
È stato deciso ieri dai capi dei gruppi parlamentari della Camera. E la decisione conferma che bisognerà aspettare di capire come andrà il congresso del Pd, con le primarie fissate per Il 30 aprile. Su quale sistema si troverà un accordo, però, rimane il mistero. Non si tratta solo di divergenze tra partiti. È anche all’interno in primo luogo del Pd, che si scontrano visioni diverse. L’ex segretario Matteo Renzi, probabile vincitore del congresso, insiste sul Mattarellum: un sistema misto nel quale prevale la logica maggioritaria. Ma a delegittimarlo come una legge pensata in un Parlamento bipolare, senza il terzo incomodo del Movimento 5 Stelle, sono i suoi stessi avversari. Enrico Rossi, governatore dem della Toscana, e il Guardasigilli, Andrea Orlando, sostengono che riproporlo significa perdere tempo: perché non ci sono voti sufficienti per approvarlo.