Politica interna
Raggi: “Resto, Grillo si fida di me”. I pm: Non c’è reato. Nel giorno in cui Virginia Raggi si difende dalle accuse sulla polizza «segreta», arriva l’ultimatum di Grillo che deve tenere a bada la base dei Cinque Stelle divisa sul futuro della sindaca di Roma. Il leader le impone un’intervista in televisione: «Devi chiarire, ma ora basta errori». Lei puntualizza: «Ho pensato di dimettermi. Sono arrabbiata con Romeo, gli chiederò di cambiare il beneficiario». Virginia Raggi è stata ancora una volta salvata a un passo dalla caduta da Beppe Grillo, intestardito nel difenderla per ragioni di politica e di vetrina. E a una condizione: che adesso, dopo l’interrogatorio, si concentri solo su Roma, mettendo da parte gli errori e sperando che le loro conseguenze giudiziarie siano finite. «Lasciamoci tutto alle spalle: i cittadini sono stanchi delle chiacchiere, mettetevi a lavorare». Grillo ha un chiaro disegno in testa. La sindaca deve rimanere dov’è per tutelare la credibilità governativa del Movimento in vista delle elezioni. Ma è anche la «prova vivente», come la chiamano ai vertici, della regola aurea del M5S: riuscire a cambiare le cose al di là dei singoli, e, nel caso Raggi, nonostante questi. Tra il teorema di Grillo e la sua realizzazione pratica c’è però una variabile che per adesso resta un’incognita: i risultati del buon governo 5 Stelle a Roma si devono vedere. E chiunque nel M5S, dal leader in giù, ancora non li vede. Per questo Grillo ha consegnato in mano a Raggi una sorta di ultimatum: «Dopo l’ interrogatorio e risolto il caso polizze, devi far vedere che stiamo cambiando Roma». E un ultimatum che in parte neutralizza l’assalto della fazione più ostile alla sindaca che ieri in coro ha chiesto al leader un segnale: «Deve chiarire». Mentre si cerca di scoprire quale sia il vero motivo per cui Salvatore Romeo le intestò ben due polizze sulla vita con causale «relazione sentimentale» investendo in totale 33 mila euro, rimane aperto il fronte di Raffaele Marra, accusato con lei di abuso d’ufficio per la nomina del fratello Renato. «La decisione finale l’ho presa io, solo questo conta», ha dichiarato la sindaca durante l’interrogatorio di due giorni fa, negando di aver delegato l’ex capo del Personale come invece emerge dalle conversazioni in chat. E intanto si scopre che è stata Roberta Lombardi, convocata come testimone per il dossier fabbricato oltre un anno fa contro Marcello De Vito, la prima a parlare dell’esistenza di queste polizze. Ma Grillo è furioso con gli ortodossi e soprattutto con Roberta Lombardi, che sarà presto convocata a rapporto. II motivo? «Se è vero che è stata lei a tirar fuori la storia delle polizze, ha chiuso. Basta, non se ne può più», si sfoga il capo.
Cresce il fronte anti voto Forza Italia e sinistra aprono alla nuova legge elettorale. Passano un paio di giorni e cambia tutto lo scenario politico. L’ipotesi del voto a giugno perde slancio. Un pezzo importante del Pd – non Renzi e i suoi – apre alla modifica della legge elettorale con premio alla coalizione anziché alla lista. E si crea subito un vasto schieramento favorevole che va da Forza Italia ai centristi di Alfano fino alla sinistra dem. Contro, sparano a pallettoni solo i Cinque stelle. Ora bisogna solo aspettare le motivazioni della Consulta sull’Italicum, previste per la prossima settimana, e l’avvio subito dopo del dibattito in commissione Affari costituzionali della Camera, nella quale risultano depositate già 16 proposte. Altre ne arriveranno. Matteo Renzi non è affatto entusiasta della piega che sta prendendo la riforma. «Io di legge elettorale e tecnicismi non parlo più» taglia corto coi suoi da Pontassieve, tutto è rimandato alla direzione del 13. Potrebbe anche rinunciare a giugno, ma oltre ottobre l’ex premier non intende andare. La proposta lanciata dal ministro Dario Franceschini lo lascia interdetto: per favorire un’intesa bipartisan alla riforma, premio di coalizione e quindi alleanze con il centro e la sinistra». Addio al Pd a vocazione maggioritaria, insomma. Apertura analoga alla coalizione viene fatta dal ministro Delrio. Altri renziani, anche di più stretta osservanza, prendono le distanze. Più di tutti il presidente Orfini: «Contrario al principio della coalizione che in passato ha fatto cadere l’Ulivo e che ha obbligato a tenere insieme cose che non possono starci, che spaziano da Pisapia ad Alfano». Anche se le intenzioni di voto non appaiono in grande movimento, mostrano, tuttavia, alcuni segnali di mutamento significativi. Anzitutto, l’indebolirsi, parallelo, dei due partiti che dominano la scena, ormai da anni. Il Pd, perde poco. Mezzo punto appena. Ma scivola sotto il 30%. E tocca il livello più basso degli ultimi due anni, nelle nostre rilevazioni. II M5s, a sua volta, perde consensi. Quasi due punti, anche se, nel corso del sondaggio per l’Atlante Politico, pubblicato oggi su Repubblica, il “caso Raggi” era appena emerso. Tuttavia, anche il M5s scivola sui valori più bassi, (stimati) dalla primavera del 2016. Parallelamente, risalgono i soggetti politici della Destra e del Centro-Destra. Forza Italia, la Lega e, ancor più, i Fratelli d’Italia guidati da Giorgia Meloni. Come se, come in altri Paesi, fosse in atto un processo di radicalizzazione. Anche i soggetti a sinistra del Pd, d’altronde, risalgono.
Politica estera
Migranti e deficit: L’Italia incassa l’appoggio della Ue. Arriva il sì dell’Unione Europea al piano italiano per la rotta libica. Paolo Gentiloni ha appena incassato la benedizione e il sostegno del Consiglio europeo all’intesa tra l’Italia e il governo libico Serraj. L’Unione europea sosterrà, e finanzierà, l’intesa siglata giovedì dal governo italiano per fermare i barconi di migranti che partono dalle coste di Tripoli. Lavorerà insieme all’Italia a un potenziamento dei campi d’accoglienza e con il nostro governo aiuterà i libici ad arginare i flussi di profughi che transitano dal Niger, «finanziando e addestrando la guardia costiera e la polizia di frontiera libiche». «Il nostro obiettivo», spiega Gentiloni, «è frenare gli arrivi sulle nostre coste, evitare altre tragedie in mare, rendere umane le condizioni nei campi. E, non ultimo, rassicurare l’opinione pubblica». Provando a smorzare, così, i sentimenti di paura e insicurezza che alimentano i partiti populisti. In breve, non si è usciti dalla solita logica dei piccoli passi. Lo stesso premier Paolo Gentiloni ha parlato dell’«apertura di una finestra di opportunità». Così, il blocco dei flussi di migranti tra la Libia e l’Italia, attraverso il Mediterraneo centrale, diventa una priorità dell’Unione Europea. Nel summit straordinario dei capi di Stato e di governo, organizzato alla Valletta dalla presidenza maltese di turno dell’Ue, è stato concordato che gli aiuti sul territorio libico dovranno sostenere anche gli accordi bilaterali come quello appena concluso dal premier Paolo Gentiloni con il collega libico Fayez Serraj. Ma gli interventi concreti per ora sono limitati ad addestrare la guardia costiera libica per contrastare i trafficanti di esseri umani. Lo stanziamento di circa 200 milioni, che dovrebbe includere lo sviluppo di centri della costa libica per favorire l’accoglienza temporanea di migranti, resta molto lontano dai sei miliardi offerti alla Turchia per bloccare e riaccettare i rifugiati siriani e iracheni diretti principalmente in Germania. Inoltre non è passata la richiesta italiana di riforma del Trattato di Dublino, che assegna i profughi al Paese di primo arrivo penalizzando principalmente Italia e Grecia. Il presidente stabile del summit Ue, il polacco Donald Tusk, ha definito l’accordo sui migranti «un segno incoraggiante che le cose cambieranno in meglio» e ha garantito che «l’Unione Europea sosterrà Italia e Libia». II premier Paolo Gentiloni, rassicurato dalla cancelliera tedesca Angela Merkel e dal presidente francese François Hollande, ha detto di aspettarsi aiuti da Germania e Francia per la Libia aggiuntivi a quelli Ue. «Si tratta di una primo passo – ha detto Gentiloni sull’accordo a Malta -. È l’apertura di una finestra di opportunità sulla quale l’Italia lavorerà e investirà. Ma è molto importante che lavori e investa anche l’Ue. E lo farà anche con risorse aggiuntive».
La Merkel uccide l’Euro: “Il futuro dell’Europa a due velocità”. Al vertice dei capi di Stato e di governo dei Ventotto dell’Unione europea a La Valletta la cancelliera tedesca Angela Merkel lancia «un’Europa a due velocità», in occasione del prossimo appuntamento, a Roma, a fine marzo. Una decisione politica. E dirompente. L’accordo tra Italia e Libia per lo stop ai migranti nel Canale di Sicilia piace all’Europa, che lo finanzierà e accompagnerà con un proprio progetto fotocopia su scala più ampia. Con l’obiettivo di rendere i libici in grado di bloccare le partenze dei barconi nelle loro acque territoriali e di gestire autonomamente il fenomeno migratorio. È questo il risultato principale del vertice dei capi di Stato e di governo dei Ventotto che si è tenuto ieri a La Valletta. Segue il pranzo in barca durante il quale criticano si le prime scelte di Trump, ricordando però l’importanza della storica alleanza con Washington. Ma in una fase così delicata auspicano che la Ue sappia trovare un proprio ruolo forte e autonomo anche, come indica la cancelliera Merkel, «lanciando un’Europa a due velocità» al vertice di Roma di fine marzo. Ovvero, rinforzare l’Unione permettendo ai Paesi interessati di approfondire l’integrazione Ue su diversi temi, lasciando indietro gli altri. Angela Merkel, uscendo dal vertice di Malta, ha confermato di essere d’accordo con questa impostazione. Se in certi campi portare avanti politiche a 28 (d’ora in poi a 27) diventa molto difficile e rallenta il processo decisionale, la strada potrebbe essere quella di muoversi solo a piccolo gruppi. Ora si vuole spingere e ridisegnare l’Europa proprio su quei «cerchi concentrici» già evocati da Paolo Gentiloni quando ancora era ministro degli Esteri. «Abbiamo imparato dalla storia degli ultimi anni – ha detto Angela Merkel – che ci potrebbe essere un’Europa a differenti velocità, dove non tutti partecipano ai vari passi dell’integrazione europea». Per la Cancelliera questo concetto «potrebbe essere incluso nella dichiarazione di Roma», che traccerà il futuro dell’Ue e delle sfide che sarà chiamata ad affrontare almeno nel prossimo decennio. A fare il passo avanti in Consiglio ci hanno pensato i Paesi del Benelux – Belgio, Olanda e Lussemburgo – che hanno presentato un documento in cui si indicava questa direzione di marcia. Si sono mossi in gruppo, a tre, proprio per rimarcare che su certi temi è necessario muoversi in piccolo club. «Differenti traiettorie di integrazione e di cooperazione rafforzata – hanno scritto – potrebbero consentire di dare risposte effettive alle sfide che colpiscono i vari Stati in modo diverso». La discussione terrà banco da qui alla fine di marzo: l’obiettivo è di includere un passaggio simile nella dichiarazione che verrà stesa nella capitale italiana.
Economia e Finanza
Manovra bis: Il governo prepara gli interventi da 3,4 miliardi chiesti dalla Commissione europea. C’è il sole quando Paolo Gentiloni lascia l’Hilton di Saint Jiuliañ s, il quartiere turistico de La Valletta. È mattina e il premier spiega ai collaboratori: «Cosa volete che dica a Juncker, la mia linea non cambia ma non credo che la Commissione ci metterà in procedura di infrazione». Quindi la sosta al pre-vertice del Partito socialista europeo e l’arrivo al palazzo dei Cavalieri di Malta per il summit dei capi di Stato e di governo dell’Unione. Mentre i leader si incamminano verso la location scelta per la foto di famiglia, Juncker mette una mano sulla spalla di Gentiloni. I due si isolano dal gruppone, parlano. Poi dopo essere stati immortalati insieme ai colleghi si appartano ancora qualche minuto. Che l’atteso faccia a faccia sia andato bene lo si capisce dall’assenza di annunci bellicosi dai vertici della Commissione. Gli staff si limitano a dire che ora è in corso un negoziato tra Padoan, Dombrovskis e Moscovici. Fonti di Bruxelles nel pomeriggio fanno sapere che «servono maggiori dettagli» sulla correzione dei conti da 3,4 miliardi chiesta dalla Commissione rispetto a quanto comunicato nella lettera di mercoledì scorso dal governo. «Sono in corso nuovi contatti», aggiungono. Ma non è un segno cattivo. Anzi, significa che le trattative sono vive. Nel pomeriggio prima di recarsi alla conferenza stampa alla sede dell’Istituto di cultura italiano, Gentiloni spiegava ai collaboratori: «Con Juncker è andata bene, lui ci sostiene, ora tocca ai tre negoziare». Il governo, quindi, prepara gli interventi da 3,4 miliardi chiesti dalla Commissione europea. Solo un quarto della correzione arriverà da una sforbiciata alla spesa ministeriale. Comincia la caccia ai 3,4 miliardi per far fronte alla manovra bis e mettere a punto il pacchetto di provvedimenti che scatteranno in primavera, entro aprile. La cifra è nota, come pure il mix di interventi. Si tratterà di un quarto di tagli alla spesa per consumi intermedi dello Stato, in pratica una sforbiciata «selettiva» alla spesa dei ministeri, per un totale di 8-900 milioni. La parte più sostanziosa riguarda tuttavia i rimanenti tre quarti della manovra, pari a circa 2,5 miliardi: 1,5 miliardo verrà dall’aumento di accise e imposte indirette e 1 miliardo dalla lotta all’evasione. È quest’ultima la partita più difficile perché il governo deve trovare un miliardo e mezzo da tasse che incidono sostanzialmente sui consumi. Padoan ha escluso aumenti dell’Iva e tagli delle detrazioni fiscali (si potrà agire solo su alcuni crediti d’imposta ), ma l’elenco delle imposte indirette è ampio e comprende anche bolli, tasse ipotecarie e catastali. Nella lista ci sarebbero anche i giochi ma ieri il sottosegretario all’Economia Pierpaolo Baretta ha escluso un ritocco delle imposte su lotto e similari.
Riparte il lavoro Usa: Wall Street ai massimi. ll mercato del lavoro americano, nel confuso mese del passaggio di poteri alla Casa Bianca da Barack Obama a Donald Trump, ha tenuto alta la fiaccola dell’espansione. L’economia in gennaio ha creato 227mila nuovi impieghi, nettamente più dei 180mila previsti. E se la disoccupazione è lievitata al 4,8% dal 4,7%, è stato perché un maggior numero di persone – quasi 600mila – ha deciso di cercare un’assunzione, gonfiando i ranghi della forza lavoro. I dati hanno sostenuto i mercati azionari grazie a una combinazione di ottimismo sulla crescita e debolezza dei salari. I compensi orari sono saliti di un impercettibile 0,1% in gennaio contro lo 0,3% atteso e del 2,5% in un anno, l’andamento più debole da agosto. Un recente segno di frenata era già arrivato dal costo del lavoro del quarto trimestre 2016, aumentato dello 0,5%, meno dello 0,6% dei precedenti tre trimestri. L’indice Dow Jones è volato nuovamente sopra quota ventimila punti, spinto anzitutto dai titoli finanziari che da Trump ieri hanno anche ricevuto in “regalo” deregulation e tagli della riforma Dodd Frank. Il dollaro, invece, ha perso quota – lo 0,1% contro un paniere di sei divise, lo 0,2% contro l’euro a 1,07 – dopo aver archiviato a gennaio la maggior flessione mensile da 30 anni in reazione alle incertezze sulla politica valutaria e commerciale di Trump. La combinazione di nuovi occupati e bassi salari evidenzia tuttora le sfide di una ripresa deludente quando si tratta del benessere dei ceti medi e popolari, ma celebrata dagli investitori negli asset a rischio quali l’azionario, che nelle statistiche “vedono” un clima positivo per i profitti aziendali e contemporaneamente una Fed cauta nelle prossime strette sui tassi d’interesse, disposta cioè in assenza di inflazione a continuare a soccorrerel’alta finanza con denaro a basso costo buono per ogni speculazione. Il protezionismo favorirà all’inizio l’occupazione nei settori tradizionali e meno innovativi. Non è il mercato del lavoro il problema degli Stati Uniti. La disoccupazione resta bassissima, le retribuzioni medie orarie aumentano del 2,5% annuo e, malgrado un’inattesa frenata a dicembre, sono in accelerazione (di 0,1 punti percentuali ogni mese da fine 2014, come tendenza). Resta però alto il numero delle persone che non riescono a trovare il desiderato lavoro a tempo pieno, e resta basso e soprattutto stabile il tasso di partecipazione al mercato del lavoro. Gli analisti di mercato non hanno quindi considerato i dati di ieri particolarmente esaltanti, anche se migliori delle attese, e non è un giudizio sbagliato.