di ANTONIO TROISE
Non siamo più una Repubblica fondata sui travet. O, per essere esatti, lo saremo sempre di meno, soprattutto se il piano di “mister forbici”, all’anagrafe Carlo Cottarelli, andrà in porto nei tempi previsti, riducendo di altre 85mila unità l’esercito degli statali. La ritirata del pubblico impiego, per la verità, è cominciata da tempo, complice la crisi e le cure dimagranti imposte ai nostri conti pubblici dall’Europa. In dieci anni sono stati tagliati circa 360mila posti su questo fronte. Meno rispetto agli occupati perduti nel settore privato ma, pur sempre, un discreto numero. E’ vero che, statistiche alla mano, con i suoi 58 impiegati ogni mille abitanti, l’Italia è in linea con i suoi vicini francesi e molto al di sotto della media dei Paesi del Nord Europa (in Svezia si sale a quota 135). Ma è anche vero che la qualità dei servizi offerti ai cittadini è di tutt’altro tenore. Un dato per tutti: se in Germania occorrono poco meno di 7 giorni per ottenere una licenza commerciale da noi si può arrivare anche a 7 mesi. E, in un mondo dove la variabile tempo è importante almeno quanto quella del capitale, non c’è incentivo che tenga. Fino a quando la nostra burocrazia continuerà a muoversi con il passo dell’elefante, gli investitori stranieri continueranno a stare alla larga dal Bel Paese. Ma c’è di più: rispetto ai nostri concorrenti esteri, il travet italiano è mal distribuito sul territorio, poco qualificato (solo il 34% ha la laurea) e con un’età avanzata (in Francia i dipendenti pubblici con meno di 35 anni sono il 28%, in Italia il 10%).
E’ ovvio che sarebbe sbagliato fare di tutta l’erba un fascio e pensare che tutti i 3 milioni e passa di dipendenti pubblici siano superflui. Basta considerare che circa il 50% opera in due settori fondamentali (e garantiti dalla Costituzione): la scuola e la sanità. E’ altrettanto vero, però, che c’è bisogno di una forte riorganizzazione della macchina dello Stato. La burocrazia e, in generale, gli uffici pubblici, sono ancora visti e percepiti dai cittadini come dei nemici da cui difendersi e non a cui chiedere aiuto. Per questo, più che alleggerire, bisognerebbe cancellare interi strati della pubblica amministrazione, con l’obiettivo di semplificare al massimo il nostro rapporto con la burocrazia. Per questo la spending review non deve essere solo vista come lo strumento per fare cassa e far quadrare i conti. Il governo dovrebbe fare un passo ulteriore, trasformando la riduzione dell’organico nel Pubblico impiego nell’occasione da non perdere per riformare l’intera macchina dello Stato. I vantaggi sarebbero enormi, per l’economia ma anche per i cittadini, che finalmente non vedrebbero più nei travet i loro nemici di tutti i giorni.
Fonte: L’Arena e altri giornali