di Antonio Troise
E’ durata davvero poco – se mai c’è stata – la luna di miele fra il governo Renzi e l’Unione europea. I primi malumori si erano già avvertiti subito dopo l’insediamento, con l’invito al nuovo esecutivo a rispettare il Patto di stabilità. Ieri, poi, la clamorosa bocciatura: siamo rientrati, a pieno titolo, nel club poco invidiato dei sorvegliati speciali, insieme a Croazia e Slovenia. Un verdetto che, già così, sembra ingeneroso nei confronti di un Paese uscito un paio di mesi fa dalla procedura di deficit eccessivo, stringendo la cinghia e pagando un prezzo altissimo per restare nell’euro.
Nessuno pensa, ovviamente, che l’Italia abbia risolto tutti i suoi problemi sul fronte dei conti pubblici. Ma la ricetta che ostinatamente arriva da Bruxelles non può essere considerata come la soluzione. Continuare a insistere solo sulla leva del risanamento e del rispetto dei parametri di Maastricht, dimenticando il tema della crescita e dell’occupazione, significa solo condannare il Paese a un inesorabile declino. E’ vero che dobbiamo fare i conti con un debito pubblico che ha raggiunto la cifra monstre del 123% del Pil. Ma è anche vero che se non si agisce sul denominatore di questo rapporto, cioè sullo sviluppo, è illusorio pensare di invertire la tendenza. Così come è assurdo invitare l’Italia a raggiungere quei consistenti avanzi primari che non sono stati centrati neanche nel periodo delle vacche grasse dell’economia. Insomma, le parole pronunciate ieri dal commissario Ue, Rehn, rischiano ancora una volta di consegnarci l’immagine di un’Europa saldamente governata da un gruppo di tecnocrati preoccupati più di difendere la tenuta della moneta unica che delle condizioni dell’economia reale e della società.
Il Paese, invece, ha un bisogno assoluto di quelle riforme per accelerare la ripresa e rendere più forte la crescita. E’ qui che si devono concentrare gli sforzi, sapendo bene che un’ulteriore stretta sui conti pubblici, con l’inevitabile innalzamento della pressione fiscale, deprimerebbe ancora di più i consumi. Il piano di azione che il neo ministro dell’Economia, Padoan, presenterà ad aprile, dovrebbe essere centrata proprio sullo sviluppo e l’occupazione. Due i punti principali: riduzione del cuneo fiscale e un piano massiccio di interventi per combattere il dramma della disoccupazione, soprattutto quella giovanile. Naturalmente, l’elenco delle riforme da fare è lunghissimo per un Paese che, da almeno venti anni, è sostanzialmente immobile. Ma per rimettere in moto una macchina che negli ultimi cinque anni ha bruciato circa 10 punti di Pil a causa della recessione, sarebbero fuori luogo interventi centrati, unicamente, sul risanamento del bilancio. Per questo il monito arrivato ieri da Bruxelles, non solo è prematuro nella forma, rispetto ad un governo che ha appena cominciato la sua attività, ma anche nella sostanza.