Peppino Impastato viene ammazzato 37 anni fa dalla mafia. I suoi Cento Passi non sono soltanto un bel film, quei cento passi sono la distanza tra lui e la mafia, matrigna arcigna e crudele che Peppino combatteva. La sua casa, oggi museo, racconta con grande intensità, la vita del giovane giornalista siciliano che scelse di combattere il sistema mafioso con la cultura, con i suoi no, con le sue cronache. Ogni 8 maggio, come accade anche quest’anno, a Cinisi, sono molte le iniziative che ricordano Peppino Impastato: sarà proiettato il film documentario di Sabina Guzzanti al Cine Alba in Corso Umberto.
La manifestazione organizzata dall’associazione Casa Memoria Impastato presenta anche un concorso fotografico, sul sito http://www.casamemoria.it/ tutte le informazioni e gli appuntamenti per ricordare Impastato, quel ragazzo nato a Cinisi il 5 gennaio del 1948 da una famiglia mafiosa, che rompe con il padre che lo manda via di casa e avvia un’attività politico culturale antimafia. Fonda un giornalino e poi milita nella nuova Sinistra, è a capo di lotte per i contadini espropriati per la costruzione dell’aeroporto e nel 1977 da vita a “Radio Aut”, la sua radio libera e autofinanziata dove denuncia gli affari e i delitti di mafia, si mette contro Gaetano Badalamenti, il boss implicato nei traffici internazionali di droga e nel controllo sull’aeroporto. E quei cento passi erano tra la sua casa e quella del boss, oggi restituita alla città.
E poi ricordiamo la Signora Felicia,che per anni, è stata seduta davanti a quella finestra, dopo la morte di Peppino avvenuta nel 1977. Un passo della sua biografia per ricordare mamma Impastato che muore nel dicembre del 2004 “Felicia ricorda che le diceva: «Veramente delinquenti sono allora». L’affiatamento con il marito dura molto poco. Per quindici anni, dall’inizio dell’attività di Peppino fino alla morte di Luigi, avvenuta nel settembre del 1977, otto mesi prima dell’assassinio del figlio, la vita di Felicia è una continua lotta, che però non riesce a piegarla. In quegli anni non ha più soltanto il problema delle amicizie del marito. Ora c’è da difendere il figlio che denuncia potenti locali e mafiosi e rompe con il padre, impegnandosi nell’attività politica in formazioni della sinistra assieme a un gruppo di giovani che saranno con lui fino all’ultimo giorno. Felicia difende il figlio contro il marito che lo ha cacciato di casa, ma cerca anche di difendere Peppino da se stesso.
Quando viene a sapere che Peppino ha scritto sul giornale ciclostilato «L’idea socialista» un articolo sulla mafia fa di tutto perché non venga pubblicato: «…fece un giornalino e ci mise che la mafia era merda. Quando l’ho saputo io, salgo sopra e vedo… E dissi: “E dài, Giuseppe figlio, io ti do qualunque cosa se ti mi consegni quel giornalino. Tu non lo devi pubblicare quel giornale”…Andavo da tutti… dicendo di non presentare quel giornalino». E quando l’attività politica di Peppino entra nel vivo, non ha il coraggio di andare a ascoltare i suoi comizi, ma intuendo di cosa avrebbe parlato chiede ai suoi compagni di convincerlo a non parlare di mafia. E a lui: «Lasciali andare, questi disgraziati». Dopo la morte di Peppino, davanti ai resti del figlio, decide di rigettare ogni idea di vendetta e si apre al modo di essere del figlio. La sua è una lotta fatta di parole, di richiesta di giustizia, di denuncia, portata avanti con determinazione: «Ogni volta che vengono giornalisti, io parlo di mio figlio perché tutti devono sapere». In questo modo Felicia continua la rivoluzione del figlio. È la seconda donna a costituirsi parte civile in un processo di mafia, dopo Francesca Serio, madre di Salvatore Carnevale riuscendo ad ottenere giustizia e a vedere condannati i mandanti dell’omicidio del figlio. Muore il 7 dicembre del 2004”.