Antonio Troise
C’è una doppia sfida e una certezza nel Documento di Economia e Finanza che sarà varato oggi dal Consiglio dei ministri. La cosa sicura è che, nel 2016, non scatterà il temuto aumento dell’Iva, una stangata da 800 euro a famiglia. Per disinnescare la cosiddetta “clausola di salvaguardia”, prevista nelle manovre varate dai precedenti governi, Renzi è pronto a mettere sul tavolo 16 miliardi: 10 da recuperare con i tagli alla spesa, il resto con i risparmi sugli interessi pagati per finanziare il debito. Ma le scommesse vere, quelle che rappresentano l’ossatura del Def, sono due: la prima è trovare, all’interno dell’asfittica cornice dei nostri conti pubblici, le risorse necessarie per far ripartire gli investimenti, creare nuovi posti di lavoro e accelerare la crescita. Per fare questo non è sufficiente evitare l’aumento dell’Iva ma occorre puntare su una riduzione delle tasse, a cominciare da quelle che gravano sul lavoro.
La seconda scommessa, non meno importante, è convincere l’Unione Europea sulla bontà del programma di riforme messo nero su bianco nel Def. Solo così, infatti, potrà scattare quella “flessibilità” concessa da Bruxelles ai Paesi che ancora non sono riusciti a raggiungere il pareggio di bilancio e risanare i conti. Uno “sconto” fra i 7 e gli 8 miliardi da destinare allo sviluppo. Ma, questa volta, per strappare un credito di fiducia alla Commissione Ue, bisognerà che gli interventi annunciati siano effettivamente realizzati. Da questo punto di vista l’Italia continua a far registrare un notevole gap fra le misure approvate e quelle entrate effettivamente in vigore. Tagli alla spesa improduttiva e riforme, insomma, sono le due gambe sulle quali deve camminare il secondo Def dell’era Renzi, se davvero vuole trovare le risorse necessarie per ridurre le tasse e uscire dalla crisi. Un sentiero molto stretto e pieno di ostacoli. Le barricate dei Comuni e degli enti locali contro i nuovi sacrifici in arrivo, rappresentano solo le prime avvisaglie di uno scontro che potrebbe diventare incandescente nei prossimi mesi. Ma Renzi sa anche che, nel 2016, si giocherà gran parte del suo “credito” di consensi proprio sul terreno dell’economia. E questa volta le promesse non mantenute potrebbero costare molto caro.