di ANTONELLA CATRAMBONE
Francesco Caruso è stato politico ed attivista italiano ed esponente del Movimento No Global nel sud Italia. Ha sempre lottato contro quel potere in grado di condizionare le scelte dei singoli governi verso politiche non sostenibili da un punto di vista ambientale ed energetico e non rispettose delle peculiarità locali e delle condizioni dei lavoratori. Oggi è docente alla facoltà di Sociologia dell’Università Magna Graecia di Catanzarod, ove continua a svolgere quella attività di ricerca sociale già iniziata durante il suo percorso di studi.
Nel 2001 sei stato esponente della Rete Meridionale del Sud Ribelle, secondo te qual è la politica necessaria da adottare per dare voce a questo sud che continua a rimanere emarginato a livello nazionale ed europeo?
Purtroppo quello a cui stiamo assistendo è un processo di “mezzogiornificazione” dell’Europa così come la definiva già nel 1991 il Premio Nobel Krugman. Tutta la fascia mediterranea europea sta assumendo la fisionomia delle relazioni socio economiche che fu caratteristica del sud dell’Italia. Per quanto i politici continuino ad evidenziare come l’emergenza sia l’immigrazione, oggi, forse a partire dal sud, possiamo cogliere come il vero dramma del nostro tempo sia l’emigrazione i cui tassi, a partire dal 2006, sono raddoppiati. Solo nel 2013 sono stati 130 mila gli emigranti che hanno lasciato l’Italia anche per svolgere lavori umili, con la speranza di un’ascesa sociale grazie ad un meccanismo di mobilità che qui, invece, è completamente bloccato. Si parla di giovani con alto livello di scolarizzazione provenienti dalla regioni meridionali, quindi di un capitale sociale che abbandona queste terre anziché costituire leva di trasformazione.
Quali responsabilità della politica nazionale e locale sulla mezzogiornificazione?
C’è un livello di corresponsabilità. Penso ad esempio agli investimenti infrastrutturali sui trasporti che ci riguarda molto da vicino. Spendono decine di migliaia di euro per accorciare di 8 minuti i tempi di percorrenza Torino – Lione sull’alta velocità mentre qui in Calabria l’unica possibilità di muoversi è il trasporto su gomma con tempi biblici. Gli assi stradali e autostradali della Calabria sono sintomatici di un sistema disastroso ed il discorso si può generalizzare all’intero assetto della mobilità e dei trasporti che oggi costituisce un settore strategico di tutti gli ordini della urbanizzazione economica. Basterebbe, dal punto di vista nazionale, capovolgere almeno per una volta, le scelte che, in modo assurdo, negli ultimi 20 anni hanno posto l’attenzione verso la questione settentrionale. La connivenza e le responsabilità della politica locale sono alquanto evidenti, c’è una gestione che si preoccupa essenzialmente del rafforzamento delle reti clientelari e non dello sviluppo locale. Questo è indicatore di un meccanismo che si alimenta del sottosviluppo e proprio all’interno di una situazione disastrosa e di carattere emergenziale può perseverare una classe politica mediocre ed inconcludente che si rigenera attraverso corruzione e clientelismo.
Nel 2006 sei stato eletto deputato della Repubblica cosa pensi delle riforme del Governo Renzi?
Le riforme sono spesso parte del problema e non della soluzione di questo Governo che si sta adoperando per trasformare l’Italia sempre più in un regime neoliberista nel quale le logiche del profitto diventano il sistema di regolazione sociale comportando delle ricadute dal punto di vista della coesione e di vivibilità del Paese. Vorrei evidenziare come la crisi economica che ha investito l’intero occidente negli ultimi 7 anni è ormai un ricordo del passato nella stragrande maggioranza dei paesi occidentali. Il PIL, dal 2013, ha avuto segno positivo in Germania, Spagna e finanche in Grecia. L’unico Paese che è ancora dentro una recessione economica è l’Italia. La recessione economica si definisce in base alla presenza di due rilevazioni trimestrali di segno negativo del PIL e noi siamo all’undicesima rilevazione trimestrale negativa. Il baratro verso il quale stiamo precipitando è molto preoccupante e non mi sembra che ci sia l’accortezza della gravità di questo momento per cui vedo le politiche del Governo inefficaci e a volte anche controproducenti. Quello che mi inquieta molto di più sono la superficialità e questo tentativo di aggirare e nascondere i problemi sociali. Dalla crisi del ‘29 se n’è usciti fuori attraverso il New Deal, un piano di intervento straordinario da parte degli attori pubblici che ha spinto la domanda interna e la crescita, qua invece continuiamo perseverare con le politiche di austerity che sono quelle che hanno strozzato la ripresa e la possibilità di un rilancio per l’economia.
Che soluzioni proporresti alla politica?
Cercherei di sostenere la necessità di affiancare al sistema di regolazione sociale, fondato sul profitto, un sistema di intervento pubblico fondato sul benessere della collettività. Questo può essere da un punto di vista dei parametri econometrici poco gradevole ma se non cambiamo l’approccio diventa difficile pensare di trovare una soluzione. C’è un’altra questione che ci riguarda da vicino e che si collega al fenomeno dell’emigrazione: lo spopolamento delle nostre aree interne che, invece, andrebbero tutelate. Io penso che la qualità della vita dei borghi possa essere un modello alternativo di vivibilità che oggi, nel 2015, diventa urgente da porre in campo se non vogliamo morire tutti di diossina. Credo che l’esempio più classico degli errori da non ripercorrere è pensare di trapiantare quegli insediamenti siderurgici industriali, quelle fabbriche di veleno che hanno lasciato solo una massa di indici tumorali schizzati verso l’alto e centinaia e migliaia di lettere di licenziamento. Per cui mi auguro che si possa pensare ad uno sviluppo a vocazione turistica e non una industrializzazione forzata che non ha nulla a che vedere con quelle che sono le ricchezze di identità del nostro territorio.