L’Europa, finalmente, prova ad uscire da quella apatia, al limite della bulimia, che fino ad oggi ha segnato il suo passo sul fronte delle strategia anti-crisi. C’è voluta, forse, la lezione americana, dove Obama un giorno sì e l’altro pure, continua a rivendicare il successo delle sue ricette composte, sostanzialmente, di due ingredienti: massicce iniezioni di liquidità e politiche espansive per alimentare consumi e investimenti. L’esatto contrario delle cure praticate nel Vecchio Continente. I risultati sono evidenti: l’economia statunitense è tornata a crescere quasi a ritmi pre-crisi e si ricandida ad essere la locomotiva della crescita mondiale. L’Europa annaspa nelle secche della recessione, incapace di rimettere in marcia il suo motore produttivo.
Da oggi, forse, tutto può cambiare. La Bce dovrebbe infatti aprire i cordoni della borsa e cominciare ad acquistare titoli pubblici, anche quelli dei paesi più indebitati, con la buona pace dei rigoristi tedeschi. Un modo alternativo per battere moneta, rilanciare la spesa e trainare gli investimenti. Senza considerare l’effetto che, la manovra, dovrebbe avere sulla moneta unica. Un ulteriore indebolimento dell’euro nei confronti del dollaro favorirebbe le nostre esportazioni e ci consentirebbe di salire, quasi in extremis, sul treno di una possibile ripresa mondiale.
La lezione americana non si ferma qui. Obama ha già annunciato un massiccio piano di aiuti per favorire il ceto medio, quello che più di ogni altro ha pagato (e, in Europa, continua a pagare) un prezzo altissimo alla più lunga e dura recessione che il mondo Occidentale ricordi. Interventi-choc basati su un principio semplice semplice: far pagare più tasse ai redditi più alti e a quel blocco finanziario-speculativo che ha continuato ad accumulare profitti anche negli anni della recessione, liberando così risorse da destinare alle famiglie e alle imprese produttive. E’ ovvio che il modello statunitense è molto diverso da quello europeo. Negli Usa c’è un governo tradizionalmente forte e una banca centrale che, autonomamente, può decidere di battere moneta senza dover fare giochi di equilibrismo fra questo o quel leader.
Ne sa qualcosa il presidente della Bce, Mario Draghi, che ha faticato sette camice per conquistare quegli spazi di manovra che possono davvero far cambiare il passo alle politiche economiche del Vecchio Continente. Forse, dopo otto anni di attesa, è arrivato il momento della svolta. E poco importa se, fra qualche giorno, le elezioni in Grecia con la vittoria scontata del candidato di sinistra, potrebbero dare un nuovo scossone alla moneta unica. Le tendenze nazionaliste e populiste si possono battere solo se i cittadini si rendono conto che anche in Europa, l’aria sta cambiando e si comincia ad avvertire il vento americano. Dopo otto anni viene quasi da dire: meglio tardi che mai.