Espropriazione della funzione legislativa del Parlamento e abuso della decretazione d’urgenza; promozione di una legge costituzionale derogatoria, minando un principio cardine del nostro ordinamento costituzionale quale la sua rigidità; mancato esercizio del potere di rinvio presidenziale; seconda elezione come Presidente della Repubblica; improprio esercizio del potere di grazia; rapporto con la magistratura: Processo Stato – mafia. Sono questi, secondo il Movimento Cinquestelle i 6 capi di accusa su si basa la richiesta formale di “impeachment” dell’attuale Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Una procedura che, in base all’articolo 90 della nostra Carta Costituzionale può essere intrapresa solo se si ritiene che il capo dello Stato sia imputabile di alto tradimento o di attentato alla stessa Costituzione. La sua incriminazione può però scaturire solo da un voto a maggioranza assoluta dei suoi membri dell’intero Parlamento (Camera e Senato) in seduta comune.
Nello specifico i grillni accusano Napolitano di aver consentito un uso eccessivo della decreta d’urgenza con relativi maximendamenti e voto di fiducia che avrebbe leso “il principio supremo della separazione dei poteri” e che avrebbe visto la promulgazione di Dl eterogenei per materia e talvolta reiterati. Per quello che riguarda invece le riforme costituzionali, al capo delle Stato M5S imputa di aver “formalmente e informalmente incalzato e sollecitato il Parlamento all’approvazione di un disegno di legge costituzionale volto a configurare una procedura straordinaria e derogatoria del Testo fondamentale, sia sotto il profilo procedimentale che sotto quello degli organi deputati a modificare la Costituzione repubblicana”. Nonché di aver impropriamente convocato nel corso dell’esame parlamentare riferito alla riforma della legge elettorale, il ministro per le Riforme Costituzionali, il ministro per i Rapporti con il Parlamento e Coordinamento delle Attività di Governo, i Presidenti dei Gruppi Parlamentari “Partito Democratico”, “Popolo della Libertà” e “Scelta Civica per l’Italia” del Senato della Repubblica, e il Presidente della commissione Permanente Affari Costituzionali del Senato, “umiliando istituzionalmente il luogo naturalmente deputato alla formazione delle leggi”.
I grillini vanno poi a recuperare due decisioni prese da Napolitano nella scorsa legislatura, e quindi nel suo precedente settennato, accusandolo di non aver usato il suo potere di rinvio alle Camere di leggi, a loro dire, incostituzionali. I due casi citati sono il cosiddetto “Lodo Alfano” e la legge sul “Legittimo impedimento”, norma quest’ultima che sottolineano esser stata poi, una volta promulgata, dichiarata parzialmente illegittima dalla Corte costituzionale. Singolare poi il quarto capo d’accusa: essersi fatto rielegge al Quirinale per un secondo mandato. La tesi dei grillini sarebbe che, poiché l’articolo 85, primo comma, della Costituzione recita che “Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni”, sarebbe evidente che il testo costituzionale non contempla la possibilità dello svolgimento del secondo mandato da parte del Capo dello Stato. Ulteriori accuse poi riguardano un uso illecito del potere di grazia. Qui si citano due casi specifici: quello del direttore del quotidiano “Il Giornale”, Alessandro Sallusti (condannato per diffamazione a mezzo stampa), e quello del colonnello Joseph L. Romano (implicato nel sequestro di Abu Omar). In più Napolitano avrebbe “impropriamente indicato le modalità dell’esercizio del potere di grazia, con riferimento alla condanna definitiva del dottor Berlusconi, a seguito di sentenza penale irrevocabile relativa a gravissimi reati”.
Da ultimo i grillini richiamano il famoso processo sui rapporti Stato-mafia. Qui il presidente della Repubblica avrebbe violato “i principi fondamentali della nostra Carta costituzionale, con riferimento all’autonomia e all’indipendenza della magistratura da ogni altro potere statuale”. Sia perché “attraverso il suo segretario generale ha inviato al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione una lettera nella quale si chiedevano chiarimenti sulla configurabilità penale della condotta di taluni esponenti politici coinvolti nell’indagine concernente la trattativa Stato-mafia e, addirittura, segnalando l’opportunità di raggiungere una visione giuridicamente univoca tra le procure di Palermo, Firenze e Caltanissetta”; sia perché “ha sollevato conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale nei confronti della Procura della Repubblica di Palermo, in merito ad alcune intercettazioni telefoniche indirette riguardanti lo stesso Capo dello Stato”. In base a tutte queste presunti reati costituzionali MS5 afferma dunque che “il Presidente della Repubblica in carica non sta svolgendo, dunque, il suo mandato, in armonia con i compiti e le funzioni assegnatigli dalla Costituzione e rinvenibili nei suoi supremi principi”. E che “gli atti e i fatti summenzionati svelano la commissione di comportamenti sanzionabili, di natura dolosa, attraverso cui il Capo dello Stato ha non solo abusato dei suoi poteri e violato i suoi doveri ma, nei fatti, ha radicalmente alterato il sistema costituzionale repubblicano”.