Centomila a Napoli contro il “biocidio”
ANSA
Sono scesi in piazza incuranti
della pioggia battente e hanno
sfilato per chiedere subito
le bonifiche, spegnere i roghi
tossici, ricordare i morti ed assicurare un futuro ai bambini
della pioggia battente e hanno
sfilato per chiedere subito
le bonifiche, spegnere i roghi
tossici, ricordare i morti ed assicurare un futuro ai bambini
ANTONIO TROISE
Per descrivere il dramma della “terra dei fuochi” è stata coniata perfino una nuova parola:”Biocidio”. Nella sua essenzialità descrive e racconta ventidue anni di rifiuti tossici seppelliti dai clan nelle discariche abusive del cosiddetto triangolo dei veleni, l’area fra Napoli e Caserta, “uccidendo” quella che un tempo era una delle zone più fertili e coltivate del Paese. Un “biocidio”, appunto, denunciato nel grande striscione che ha aperto e chiuso il corteo che ha invaso sabato le strade del centro di Napoli. Nessuna bandiera di partito, solo qualche gonfalone, a cominciare da quello del Comune di Napoli con il sindaco della città, de Magistris. Un ”fiume in piena”, come lo hanno definito gli organizzatori, nato grazie alla rete delle associazioni che da anni denunciano il dramma e cresciuto unicamente con i post e il passaparola dei social network e della rete.
Almeno centomila persone hanno voluto far sentire la propria voce, dal prete anti veleni, don Maurizio Patriciello allo scrittore Pino Aprile che nel suo ultimo libro, il Sud Puzza, ha raccontato proprio le storie di un Mezzogiorno che si accorge di essere stato avvelenato proprio perchè si sta svegliando. I numeri del biocidio, invece, li ha messi in fila Legambiente, che ha partecipato al corteo di Napoli. E sono cifre impressionanti. Dal 1991 al 2013 ci sono state ben 82 inchieste, 915 ordinanze di custodia cautelare e 1806 denunce che hanno coinvolte 443 aziende, in gran parte del Nord. E nell’elenco ci sono nomi eccellenti, come quelli – si legge nel dossier degli ambientalisti – dei petrolchimici storici del nostro paese: i veleni dell’Acna di Cengio, i residui dell’ex Enichem di Priolo, i fanghi conciari della zona di Santa Croce. In ventidue anni sono stati smaltiti nella Terra dei Fuochi, tra la provincia di Napoli e di Caserta, circa 10 milioni di tonnellate di rifiuti di ogni specie. Un tir, secondo gli inquirenti, è in grado di trasportarne 25 tonnellate alla volta. Circa 410.905 camion carichi di rifiuti hanno attraversato mezza Italia terminando il loro tragitto nelle campagne del napoletano e nelle discariche abusive del casertano. “Soltanto l’inerzia diffusa delle istituzioni, la «disattenzione» di chi doveva controllare, e una fitta rete di collusioni e omertà possono aver consentito «l’invisibilità» di una colonna di decine di migliaia di tir.”, sentenzia Rossella Rettore, direttore generale di Legambiente.
Ora anche il governo vuole correre ai ripari. Il ministro dell’Ambiente, Orlando, ha annunciato un decreto per bonificare l’area e per fermare il fenomeno dei roghi tossici, con un inasprimento delle pene. La Regione ha annunciato un primo stanziamento di 350 milioni anche se, per risanare quell’area, occorrerebbe almeno il triplo della cifra. Senza considerare i danni, ormai irreversibili, alle falde acquifere, descritti meticolosamente in un dossier messo a punto, qualche anno fa, dai militari americani e che ha conquistato la settimana scorsa una copertina choc dell’Espresso: Bevi Napoli e poi muori. Un titolo che ha suscitato l’ira del sindaco de Magistris che ha querelato il settimanale chiedendo un miliardo di euro di danni.
Ma, al di là delle polemiche, il biocidio è un dato di fatto con il quale bisogna fare i conti e agire. Per questo Legambiente propone un pacchetto di interventi che vanno dalla mappatura e il censimento dei siti contaminati ad una sistematica e puntuale attività di campionamento e analisi dei prodotti ortofrutticoli e alimentari. Perchè un fatto è certo: di fronte ad un disastro di queste dimensioni tutti hanno il diritto di sapere come stanno effettivamente le cose. Per evitare gli allarmismi che rischiano di danneggiare un’intera economia ma anche per far scattare tutto l’allarme che serve per tutelare la salute.
Fonte La Stampa.it