Di Laura Bercioux
In Italia le “docce fredde” hanno fatto il giro del web, incassando però molto poco per la raccolta fondi a favore della ricerca per la SLA, la sclerosi laterale amiotrofica. Hanno invece fatto pubblicità ai vari vip e politici che si sono offerti per la causa. La Littizzetto, la signorina del Festival di Sanremo e di Che Tempo che fa, dopo la doccia, ha sbandierato i suoi cento euro facendo indignare il web e le associazioni per la SLA. Anche Sua Santità, Papa Francesco, ha sottolineato che la beneficenza per la ricerca è una cosa seria e fuori dai riflettori. In America hanno invece raccolto una bella somma per questa terribile malattia che oggi è possibile diagnosticare in tempi brevi rispetto al passato. Ne parliamo con il prof. Adriano Chiò, del Dipartimento di Neuroscienze Rita Levi Montalcini di Torino che si occupa di SLA.
Professor Chiò avete fatto grandi passi per la diagnostica della SLA. Cosa è cambiato?
“La diagnosi della SLA ha avuto sempre tempi molto lunghi, un problema oggi risolto. Fare la diagnosi significava andare per esclusione di altre malattie e se non si trovava altro, con le caratteristiche della SLA che manifestava il paziente, si poteva certificare la malattia in tempi lunghissimi. Il ritardo della diagnosi ovviamente, ritardava la possibilità di cura: i pazienti restavano in osservazione anche 3 – 4 mesi. Abbiamo, invece, studiato e confrontato con l’uso della Pet, usando il classico mezzo di contrasto con glucosio e fluoro radioattivo che scompare dopo mezzora, un metodo che si usa da tantissimi anni per le malattie tumorali, un grosso gruppo di 200 pazienti affetti da SLA con 40 pazienti non affetti da SLA. Attraverso la Pet abbiamo visto l’attività del cervello di questi due gruppi, osservando se lavorava troppo o troppo poco e siamo arrivati ad un algoritmo matematico che ci ha dato una precisioni nei risultati delle analisi del 95%. Questi studi sono stati effettuati in tandem con il dott. Pagani del CNR di Roma. Il vantaggio è evidente: una diagnosi precoce consente di poter iniziare subito le cure. Un paziente vive malissimo nell’attesa lunga, la certezza della diagnosi invece ti consente anche di sperimentare nuove terapie.
In Italia molti personaggi dello spettacolo e politici hanno raccolto la sfida delle docce
“Le docce sono state utili per far conoscere la malattia ma sono diventate subito un modo per farsi della pubblicità. In America la raccolta, invece, è stata più organizzata. In Italia, la raccolta di fondi resta bassa. Certo, sempre meglio di niente. Ma mi pare che abbiamo assistito più ad uno sfoggio di immagine che di sostanza. Il problema reale è che i fondi per la ricerca sono veramente pochissimi. Quando è uscito il bando del Ministero della Salute, 76 milioni di euro sono andati alla ricerca, 100 milioni alla Sanità. Regola vuole che bisogna assegnare almeno l’1% del Pil alla ricerca. Noi siamo 10 -20 volte sotto. In Francia è stato stanziato un miliardo di euro. Riconosco che siamo in tempi di crisi, ma se non facciamo ricerca, non produciamo ricchezza. Noi prepariamo i giovani all’università, li specializziamo e poi vanno via: uno spreco di risorse che il Paese perde ogni anno”.
C’è molta collaborazione per lo studio di questa malattia?
“Sì. In Italia ci sono 18 centri per lo studio della SLA e siamo in rete con il NIH di Washington, di proprietà del Governo Americano, che si occupa di ricerca. Una collaborazione euroamericana.”
Ci sono speranze di guarigione dalla SLA?
“Sono ottimista, gli studi avanzano. E’ difficile dire, però, quali siano i tempi, se un anno o 5 anni. La ricerca non ha un tempo definito”.
La Sla colpisce anche gli atleti.
“La Sla solitamente colpisce le persone tra i 60 e 70 anni. Quando, nel 205, abbiamo scoperto che la SLA colpiva i calciatori, è iniziato un nuovo studio che ha coinvolto anche gli americani proprio in conseguenza dei casi italiani di SLA tra gli sportivi. Così anche negli Stati Uniti hanno rilevato casi di SLA tra i giocatori di football”.