di Massimo Calise
Domenica la maggioranza dei siciliani (53,23%) non ha votato! I votanti per l’elezione del Presidente della Regione e dell’Assemblea sono solo il 46,76%; rispetto al 2012, quando aveva votato il 47,41%, l’affluenza è calata del 0,65%.
Nello stesso giorno si è svolta un’elezione di carattere amministrativo che conferma la diffusione e la gravità dell’astensione: per l’elezione del municipio di Ostia l’affluenza è stata del 36,15%!
L’astensione non è una novità, il suo ripetersi la toglie dalla categoria degli accidenti congiunturali: è divenuta ormai un fenomeno strutturale del nostro Paese.
Quando era, ormai parecchi anni orsono, un fenomeno marginale gli astenuti erano mal considerati: dotati di scarso senso civico preferivano “andare al mare” anziché alle urne.
Cresciuto il popolo dei non votanti si è compreso che l’astensione ha molte componenti e, in buona parte, è un sintomo di malessere e di sfiducia anziché superficiale disimpegno.
I politici, alla lettura dei dati dell’affluenza, diffondono dichiarazioni allarmate, dimenticate nel giro di pochi giorni. In effetti, concentrati sul potere, importa poco se esso derivi da una percentuale bassa di votanti.
Assodata che l’impraticabilità della democrazia diretta, periodicamente riesumata come un’arma polemica, non è venuta meno neppure tenendo conto delle nuove tecnologie che possono, semmai, costituire ulteriori e nuovi strumenti da affiancare al voto tradizionale nelle democrazie rappresentative.
Accertato il danno provocato dalla frettolosa, anche se è durata anni, liquidazione dei partiti politici che, è vero, non funzionavano come dovevano corrosi dalla corruzione. Noi invece di pretendere da loro un comportamento adeguato, un uso trasparente del finanziamento pubblico li abbiamo, di fatto, cassati (in parte). Un atteggiamento che mai avremmo assunto se al posto del “cattivo” partito vi fosse stato un “cattivo” ospedale; in quest’ultimo caso avremmo preteso con insistenza un benefico cambiamento. Inascoltata la nostra Costituzione (articolo 49): “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Assistiamo alla fine dei partiti politici che, nella loro caduta, stanno trascinando anche la partecipazione politica e, quindi, l’affluenza alle urne; il prossimo passo sarà il discredito del Parlamento già iniziato per altre vie.
Sopravvivono, anzi prosperano, alcune modalità di rappresentanza politica che sembravano appartenere al passato. In alcune zone, il localismo, vale a dire la rappresentanza di interessi specifici e ristretti, ha fatto la fortuna dei cosiddetti notabili ma non dei loro concittadini.
Per arginare questa deriva il costituzionalista Michele Ainis ha avanzato alcune proposte (“Come salvare il Parlamento” La Repubblica del 28-4-2017). In una di queste auspica che si dia un “peso” al non voto; la riflessione parte dalla sostanziale indifferenza dei politici per il fenomeno dell’astensione. Osserva che nessuna assemblea legislativa può deliberare quando manchi il numero legale; “ va a votare solo il 50% degli elettori? Dimezzo gli eletti e al contempo ne riduco i poteri”. Otterremo un interesse vero per l’astensione e, al minimo, una diminuzione di poltrone.
Le proposte ci sono, le intelligenze pure occorre dargli forza; la democrazia partecipativa non sembra avere alternative, in loro assenza curiamola al meglio.