Politica interna
Renzi a Torino cerca la ripartenza. II tweet mattutino è dedicato al Barcellona, ma sembra quasi autobiografico. Con l’hastag «remuntada historica», Matteo Renzi scrive: «Che roba, che squadra. Gente che non molla». E’ esattamente quello che ha intenzione di fare l’ex segretario del Pd. La «remuntada» renziana inizia oggi dal Lingotto. Sarà il leader ad aprire le danze, con un discorso tutto incentrato sull’Europa. Domani mattina interverranno Emma Bonino (che lancerà una sfida a Minniti sull’immigrazione) e Sergio Chiamparino, poi Padoan. C’è chi ha voluto vedere una critica proprio al ministro dell’Economia — e a Paolo Gentiloni — nelle parole di Renzi, ospite di Porta a porta sull’innalzamento dell’Iva e sulla riduzione del cuneo fiscale. In realtà non c’è nessuna tensione con il governo, ma Renzi vuole mettere un paletto chiaro: va bene l’operazione sul cuneo, purché non sia l’alibi per alzare l’Iva. Già, la preoccupazione dell’ex premier è che si aumenti di un punto l’Iva, ottenendo così 4,5 miliardi, di cui 3 vengono usati per ottemperare alle richieste di Bruxelles e solo 1,5 per il cuneo, di cui (è questo il suo timore) non si accorgerà nessuno. Proprio mentre lima il discorso per il lancio della sua candidatura alle primarie del Pd il segretario uscente ha in mano un sondaggio Swg che stima l’affluenza ai gazebo in 2 milioni e 200 mila elettori. E le intenzioni di voto lo premiano con il 64,7%, a seguire Emiliano con il 20,2% e infine Andrea Orlando al 15,1%. Intervistato dalla Stampa l’ex premier dice: «Smettiamola con questa idea metafisica di un “nuovo Renzi”… Ho fatto autocritica e sono tre mesi che giro col capo cosparso di cenere. Ora basta, è tempo di ripartire». «E se qualcuno pensasse che a fronte del momentaneo indebolimento io abbia perso energia e grinta, commetterebbe un gravissimo errore». Chiamiamolo un bonario avvertimento: e non sarà l’unico durante questa chiacchierata che avrebbe l’obiettivo di anticipare un po’ dei temi in discussione da oggi a Torino. A propostio del Giglio magico Renzi ribatte: «Mi viene da ridere – e poi da arrabbiarmi – quando mi accusano di aver messo su un sistema di potere. Ridicolo». «Quattro o cinque toscani quarantenni o giù di Iì: questo sarebbe il mio sistema di potere? Non male come accusa: soprattutto in un Paese che ha vissuto per vent’anni il clamoroso conflitto d’interessi di Berlusconi e galleggia tutt’oggi su intrecci tra banche ed editoria, credito e politica capaci di fare il bello e il cattivo tempo». Il Sole 24 Ore sottolinea invece che “al netto delle fibrillazioni con Palazzo Chigi, i tre aspiranti leader stanno già mettendo sul tavolo differenti ricette. L’ex premier punta sul lavoro di cittadinanza, Emiliano rilancia il taglio del cuneo fiscale e dell’aliquota Irpef dal 23 al 20%, Andrea Orlando si concentra su diseguaglianze e povertà e all’Irpef pensava pure Renzi per l’ultima manovra del suo Governo se non avesse perso il referendum. Insomma, un grande match per attrarre gli elettori Pd sulla base di un programma che però potrebbe essere un bluff. Quello che infatti i tre avversari non dicono, è che con l’attuale legge proporzionale uscita dalle sentenze della Consulta, all’indomani del voto del febbraio 2018, il rischio sarà quello di non avere maggioranze chiare e solide. E dunque che lo scenario più probabile è l’impasse istituzionale, cioè la difficoltà di trovare i numeri in Parlamento per formare un Governo.
Crollo cavalcavia sull’A14. La lista delle strade, superstrade, autostrade che, nell’Italia dei capolavori di ingegneria e architettura—varianti, viadotti, valichi e passanti — nel giro di neanche 24 mesi si sono piegate, spezzate, incrinate, implose, crollate, è lunga. A luglio 2014, il viadotto Petrulla, in provincia di Agrigento, si sfarina quattro feriti leggeri. Passano pochi mesi e c’è la farsa del viadotto Scorciavacche, fra Palermo e Agrigento, che cede il giorno dopo essere stato inaugurato, per fortuna ancora deserto. Altri sei mesi e implode un pilone del viadotto Himera, sull’autostrada Palermo-Catania, investito dallo smottamento di una collina. Per puro caso, non c’è nessuno. Una persona, invece, è purtroppo, rimasta sotto il cavalcavia di Annone, vicino a Lecco, sulla superstrada 36, che non regge il passaggio di un tir da 108 tonnellate, carico di bobine d’acciaio. Come a Lecco, a Loreto la fortuna non si è presentata e due persone sono morte. Ma sotto un ponte che crolla, su un’autostrada in pieno traffico, lungo l’arteria principale che collega il Nord al Sud, in una delle aree a più alta densità commerciale e industriale della costa adriatica, potevano esserci due corriere e decine di morti. È su questi numeri — per puro caso rimasti solo possibili — che vanno, anzitutto, misurate le responsabilità di quanto è accaduto. Bisognava chiudere al traffico un’autostrada affollata, nel momento in cui si tira su, dai due lati, con argani e martinetti, dicono le prime ricostruzioni, un intero ponte? La concessionaria Autostrade si è subito affannata a spiegare che il cavalcavia era chiuso al traffico. Ma sotto, il traffico scorreva. Il cavalcavia, come dice la parola, ha due versi sopra e sotto. Si poteva essere così certi che la situazione fosse in pieno controllo, da non avere questa elementare reazione di cautela? E la prima domanda a cui dovrà rispondere l’inchiesta messa in campo dal ministro Delrio. Il Sole 24 Ore sottolinea che
“un errore gravissimo c’è sicuramente stato e spetta alla magistratura accertare al più presto di chi sia la responsabilità nell’organizzazione o nell’esecuzione di un lavoro che viene definito ordinario. Si dovrà scavare nell’intreccio di competenze non facile da districare fra il committente, l’appaltatore Pavimental, il subappaltatore Delabech che ha fatto il progetto costruttivo e stava realizzando i lavori. Autostrade per l’Italia si dichiara parte lesa ma questo lavoro compete, appunto, ai magistrati. Un dato è che sullo stesso tratto autostradale sono stati realizzati 11 lavori analoghi con modalità simili, compreso il sollevamento del cavalcavia senza la chiusura al traffico dell’arteria sottostante”.
Politica estera
Francia, Macron sorpassa Le Pen. L’avanzata di Emmanuel Macron pare irresistibile. La sua candidatura acquista solidità giorno dopo giorno. La sua proposta serenamente apartitica – in un momento in cui l’elettorato mostra di non poterne più, dei partiti e dei loro giochini d’apparato – conquista sempre nuove adesioni. E per la prima volta un sondaggio colloca l’ex ministro dell’Economia in testa nella corsa all’Eliseo. Con un punto di vantaggio su Marine Le Pen. Non solo: Macron sarebbe ormai alla pari con la leader del Front National nelle simpatie dei giovani, area in cui l’estrema destra era da tempo solidamente davanti. Tutte le rilevazioni sono comunque concordi nel registrare un distacco difficilmente colmabile tra il candidato della destra François Fillon e Macron. Rafforzato, quest’ultimo, dall’alleanza con i centristi e dalle adesioni in numero crescente dei riformisti del partito socialista, che non si riconoscono nel vincitore delle loro primarie, l’esponente della sinistra del partito Benoit Hamon.
Il risultato dell’indagine, diffusa ieri da Harris Interactive e commissionata dal servizio pubblico France Télévisions, è importante soprattutto dal punto di vista simbolico. Altri sondaggi sul primo turno offrono risultati leggermente diversi: per esempio, l’Ifop ieri sera ha indicato Le Pen ancora di poco avanti a Macron, ma con quest’ultimo in recupero di mezzo punto: la sensazione è che in questi giorni la dinamica politica favorisca il candidato del movimento «En Marche!». «Macron ha un lato “pigliatutto” che per il momento gioca a sua favore — dice Frédéric Dabi, direttore dell’istituto di sondaggi Ifop —. Per la prima volta nella Quinta Repubblica queste elezioni potrebbero vedere l’assenza al ballottaggio di entrambi i grandi partiti storici della destra (Rpr poi Ump adesso Républicains) e della sinistra (il Ps). A quella contrapposizione destra-sinistra se ne sostituisce una nuova: non è un caso che i due candidati in testa siano quelli che parlano di più di Europa. A favore (Macron) o contro (Marine Le Pen)».
I marines in Siria per liberare Raqqa. I marines alla volta di Raqqa. Il Pentagono ha deciso di fare entrare in azione reparti speciali del più famoso corpo degli Stati Uniti, obiettivo la conquista della città che è considerata una sorta di capitale dello Stato Islamico. La Casa Bianca di Trump ha deciso il salto di qualità, una escalation militare che ribalta la politica di non-intervento ( sul terreno ) di Obama, che mira a ridare un ruolo decisivo agli Usa nell’annoso conflitto in corso in Siria ( allo stesso tempo insieme e contro le mire della Russia di Putin) ma che rischia di avere qualche rischio futuro ( ad iniziare dai possibili morti Usa). Un’iniziativa che rientra nel progetto più vasto di riarmo ( sia nucleare che convenzionale ) e delle nuove massicce spese che The Donald, nelle vesti di Commander in Chief, ha promesso ai suoi generali. Sei anni dopo l’inizio della sanguinosa guerra civile in Siria e nelle basi Usa in Kuwaite Gibuti ci sono già circa un migliaio di “special forces” ( marines e ranger ). Con il compito (ufficiale) di collaborare con gli alleati degli Usa, le Forze democratiche della Siria (Fds) e la “Coalizione arabo-siriana”. Secondo quanto hanno spiegato fonti del Pentagono al Washington Post i marines dovrebbero aprire un avamposto da cui poter lanciare attacchi con l’artiglieria pesante a poche decine di chilometri da Raqqa. A questo punto l’interrogativo fondamentale riguarda quello che faranno i vincitori e quali potranno essere le ripercussioni sull’intera area, ma soprattutto sulla Siria. Dovrebbe aprirsi uno spiraglio per qualche passo avanti nei contatti che si terranno a Ginevra sotto l’egida delle Nazioni Unite. Nonostante la professionalità e l’impegno del mediatore Onu Staffan de Mistura, un’intesa rimane ancora molto problematica.
Economia e Finanza
Draghi: meno rischi nella Ue non servono nuovi stimoli. Non cambia la politica monetaria della Banca centrale europea, ma un cambio di tono nelle parole del suo presidente Mario Draghi, più ottimista sulle prospettive dell’eurozona, fa pensare che il consiglio abbia per lo meno avviato la discussione su come uscire dalla straordinaria azione di stimolo degli ultimi due anni. L’inflazione di febbraio al 2% nell’eurozona (al 2,2% in Germania) e i segnali positivi dall’economia hanno intensificato le pressioni, soprattutto da parte tedesca, perché la politica monetaria si avvii all’uscita dallo stimolo, ripetute anche ieri mattina dal ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, che sembra aver sviluppato un’abitudine a intervenire nelle ore immediatamente precedenti la riunione della Bce. Draghi ha sostenuto che è presto per dichiarare vittoria sull’inflazione, dato che potrà mantenersi «per qualche mese vicino al 2%», ma più che altro per i movimenti del prezzo dell’energia, mentre l’inflazione depurata di questo elemento resta bassa (ferma allo 0,9% a febbraio) e salirà solo gradualmente. E il banchiere centrale italiano ha sottolineato che la variabile chiave a questo proposito sono i salari,che finora non danno grandi segni di ripresa. Sia la Bce sia la Bundesbank ritengono che il rialzo dell’inflazione possa rientrare verso fine anno. Per ora, la banca centrale intende continuare a «guardare al di là» dei singoli dati. La Bce ha rivisto le sue previsioni d’inflazione per il 2017 all’1,7%, ma le ha lasciate invariate all’1,7%, quindi non ancora «vicino al 2%,», per il 2019, l’orizzonte più rilevante per la politica monetaria. Riguardo al consuntivo degli effetti della strategia di politica monetaria finora seguita, il punto di partenza dell’analisi della Bce è quello della trappola deflazionistica in cui l’economia europea aveva rischiato di cadere. La Grande Crisi iniziata nel 2008 ha avuto un effetto macroeconomico intossicante attraverso l’aumento dell’incertezza, che a sua volta ha accresciuto l’avversione al rischio. La frammentazione monetaria e bancaria avrebbe potuto innescare un circolo vizioso, per cui aspettative di depressione economica e di deflazione dei prezzi aumentavano la probabilità di cadere proprio nella trappola deflazione. Ieri Draghi ha sottolineato che tale rischio – e la correlata ansia – è stato scongiurato: la politica monetaria, puntando le sue carte sulla capacità di un atteggiamento sistematicamente espansivo di condizionare nella giusta direzione le aspettative, ha riaggiustato il meccanismo di trasmissione della politica monetaria moneta e credito si stanno normalizzando, anche in termini di omogeneità tra i diversi mercati e i diversi Paesi dell’Unione.
Povertà, piano per 400mila famiglie. Dopo un iter parlamentare durato oltre un anno il Senato ha approvato ieri in via definitiva la legge delega per il contrasto alla povertà, il riordino delle prestazioni assistenziali e il rafforzamento del coordinamento dei servizi socio-assistenziali. Con questo provvedimento, che ha raccolto 138 voti favorevoli, 71 contrari e 21 astenuti, l’Italia entra nel folto gruppo di Stati della Ue già da tempo dotati di un sostegno di carattere universale per i cittadini che versano in condizioni di poverta e di esclusione sociale. La novità è rappresentata dal Reddito di inclusione, che sostituirà il Sia (Sostegno di inclusione attiva). Si tratta di uno strumento unico a livello nazionale articolato in due parti: un beneficio economico, che arriverà sino ad un massimo di 480 euro/mese, con un limite di durata sottoposto a verifica, ed una componente di servizi alla persona, assicurati dalla rete dei servizi sociali. Con il Rei la platea degli assistiti dovrebbe salire entro un anno a 400mila nuclei, per un totale di 1 milione e 700 mila persone, tra cui 800 mila minori. Le risorse messe in campo per finanziare questo programma sono circa 2 miliardi per il 2017, includendo anche i fondi europei, e dovrebbero sfiorare i 2,2 miliardi nel 2018, sempre tenendo conto anche dei fondi Ue e delle risorse che verranno dalla razionalizzazione di altre prestazioni assistenziali come la vecchia carta sociale per anziani e minori e l’assegno di disoccupazione Asdi, una dote che servirà anche a potenziare i Centri per l’impiego, con il personale coinvolto nel programma.