Antonio Troise
Non sarà la prima volta (e neanche l’ultima) che Bruxelles ci richiama all’ordine. E’ già successo moltissime volte in passato, quando siamo stati costretti a fare i “compiti a casa” per non rischiare clamorose bocciature. Ora, però, il richiamo non è affatto economico, ma soprattutto politico. E le parole del commissario agli Affari economici della Ue, Pierre Moscovici, hanno l’effetto di un vero e proprio intervento a gamba tesa sulle elezioni del 4 marzo. Sarà anche vero che, come recitano gli ultimi sondaggi, il risultato delle urne potrebbe non dare al Paese una maggioranza stabile. E sarà anche vero che i vincoli europei impongono all’Italia di non deragliare dai binari del rigore. Ma è davvero insolito che un esponente dell’esecutivo comunitario bocci senza appello la proposta di un candidato premier, come Luigi Di Maio, sia pure su un tema come quello del rapporto fra deficit e pil. Ed è davvero insolito anche che Bruxelles arrivi ad avanzare, alla vigilia delle elezioni, l’ipotesi di un rischio politico per tutto il Vecchio Continente nel caso in cui prevalessero, anche in Italia, le tendenze populistiche o anti-europeiste.
Il problema, però, non è solo di forma o di etichetta. Ma anche di sostanza. Nessuno naturalmente, sottovaluta le bordate micidiali che hanno scosso l’Unione Europea: l’ascesa di Le Pen, la Brexit, l’onda lunga di Trump, il vento xenofobo che dall’Est sfiora Austria e Germania. E sarebbe anche ipocrita non nutrire qualche dubbio sul voltafaccia del candidato premier grillino a proposito dell’Euro: il suo partito si è caratterizzato negli anni più per i no e per i “vaffa” che per la difesa della moneta unica e dell’Unione Europea. Un atteggiamento molto simile all’altra grande forza anti-europeista che si presenta al voto, la Lega di Matteo Salvini, che tra l’altro ha confermato la sua linea dura contro Bruxelles.
I richiami di Moscovici, però, risultano estremamente tardivi. Se davvero voleva evitare derive anti-europeiste, Bruxelles avrebbe dovuto muoversi per tempo. Evitando, giusto per fare qualche esempio, di lasciare il Bel Paese a gestire, praticamente da solo, il dramma dei migranti con tutti i costi, non solo economici ma anche sociali, generati dall’emergenza. O, scandendo qualche parola in più sul patto di stabilità e i conti pubblici, silenzi che alla lunga hanno trasformato il sogno dell’Unione Europea nell’incubo di un’euro-burocrazia pronta a chiedere sacrifici ai Paesi più deboli dando, in cambio, solo tasse e nuova povertà. In conclusione, le preoccupazioni di Moscovici potrebbero essere anche vere e fondate ma le sue parole, con queste premesse, non solo non salvano l’Ue, ma rischiano solo di gonfiare ulteriormente le vele dei movimenti anti-europeisti.