Alessandro Corti
E’ un po’ come chiudere le stalle dopo che i buoi sono scappati. L’allarme del Garante della Privacy sul grande fratello che entra nelle nostre vite, fruga nei nostri profili e mette in vendita i nostri dati è per lo meno tardivo. Sono anni che i quattro giganti del web fanno quello che vogliono nel far west della rete. In barba ad ogni normativa Antitrust e violando le più normali regole del buon senso. Non si riesce nemmeno a far pagare le tasse sugli utili che macinano ogni anno vendendo e rivendendo le informazioni che abbiamo consegnato in cambio di una presenza, a prima vista innocua, e vantaggiosa sui social. Gli affari sono affari, si dirà. E’ la legge del mercato. Ma la questione non può essere liquidata in nome e per conto del dio denaro. In gioco, infatti, c’è molto di più di un business, sia pure stellare. In gioco non ci sono i 109 miliardi di fatturato macinati nel 2016 da Google. O i 107 di Microsoft. E neanche i 67 e passa miliardi raccolti da Facebook, con un incremento di oltre l’80% rispetto all’anno precedente. La verità è che in gioco ci sono le nostre vite e, soprattutto, quelle dei nostri figli. I più deboli perché praticamente gettati nel gran mare della rete senza salvagente e senza difese. Basta un semplice gesto, la foto di un figlio pubblicata forse un po’ leggermente sul web, per alimentare, involontariamente, circuiti equivoci, se tutto va bene. O, addirittura, finire nella rete della pedo-pornografia. Senza che nessun giudice o nessuna legge possa, realmente, fare nulla. Così come è difficile cancellare le immagini, diffuse un po’ per scherzo un po’ per bullismo, da qualche compagno di classe, dall’ex di turno o da un amico un po’ invadente. Al di là della volontà, conta l’effetto che, sulla rete finisce per essere amplificato per milioni di volte. Con effetti a volte drammatici, come nel caso della ragazza suicida per qualche foto diffusa a sua insaputa.
Di fronte a un fenomeno così invasivo e potente, è davvero incredibile continuare a restare indifferenti. Bene ha fatto, ovviamente, il Garante della Privacy a denunciare i rischi della rete. Ma si tratta di cose, ormai, note da tempo e sulle quali nessun governo è riuscito davvero a intervenire. Nessuno invidia la censura alla quale i regimi anti-democratici sottopongono i sociale. Ma l’alternativa rispetto all’attuale far west non può semplicemente essere il periodico grido di allarme di questa o quell’authority.