Entro febbraio dovrebbero diventare operativi i decreti sull’istituzione delle Zone economiche speciali firmati la scorsa settimana dal premier Paolo Gentiloni: per completare il puzzle mancano solo due passaggi: il nullaosta della Corte dei conti e la pubblicazione in Gazzetta ufficiale.  L’obiettivo è battezzare subito le prime due Zes – quella di Napoli–Salerno e di Gioia Tauro che sono praticamente pronte – prima del 4 marzo. Il loro avvio potrebbe essere speso come un segno di attenzione dell’attuale maggioranza per il Mezzogiorno a pochi giorni dall’appuntamento con le urne.

Comincia, dunque, una nuova era per il Sud con opportunità che lasciano ben sperare per una più incisiva ripresa dell’economia: un credito d’imposta per maxi investimenti fino a 50 milioni, tempi dimezzati per autorizzazioni e procedure (con il Governo pronto a esercitare i poteri sostitutivi) e oneri amministrativi e istruttori più bassi. “Con le Zes si apre una nuova stagione per le politiche di sviluppo del Mezzogiorno, non basata sugli incentivi a pioggia o su un intervento diretto dello Stato: un obiettivo reso possibile grazie alla forte collaborazione istituzionale tra la Regione Campania e il Governo – dice Vito Grassi,  vicepresidente dell’Unione industriali di Napoli con delega alla Logistica e alla Portualità e amministratore unico di Graded -. Occorre ora, però, che le Zes facciano tesoro dei limiti che hanno presentato altri strumenti di incentivazione. Come la 488 (centrata su aree territoriali depresse), i contratti d’area e i patti territoriali, i quali non hanno introdotto una maggiore rapidità nella spesa dei fondi: tali programmi, secondo gli ultimi dati, partirono nel 2000 e al 2005 la spesa era appena all’8,4%”.

Fondamentale per il futuro dunque, secondo Grassi, “sarà snellire la burocrazia. E determinante, in questo senso, sarà la formula dei contratti di programma, che coinvolgono grandi imprese e consorzi di Pmi in piena salute, in settori propulsivi, con un requisito che è bene assegnare anche alle Zes. E cioè che i passaggi burocratici siano del tutto definiti ex ante e risolti attraverso accordi preliminari tra gli enti pubblici interessati, nazionali e territoriali”.
A questo punto è legittimo chiedersi quale maggiore impatto siano destinate a produrre sull’economia meridionale le Zone economiche speciali in via di istituzione, con una discriminante decisiva per il loro successo: il collegamento a un porto ben connesso con la rete transeuropea dei trasporti, assieme agli sgravi fiscali per le imprese, barriere doganali ridotte, deregolamentazione contrattuale e contributiva assieme agli incentivi per gli investimenti. “Per capire la portata che potrà avere per noi l’istituzione delle Zes basta guardare agli esempi più vicini al posizionamento del Mezzogiorno negli equilibri degli scambi via mare –  argomenta Grassi -. Il porto di Tangeri, in Marocco, ha visto nascere 60mila posti di lavoro ed esportazioni per oltre 2,6 miliardi di euro. La zona franca di Barcellona ospita circa cento imprese e conta 6mila occupati. Così i porti di altre aree del mondo: in Irlanda la Shannon Free Zone i registra un impatto economico considerevole: il rapporto tra sterline spese dal settore pubblico in infrastrutture e incentivi e di 1 a 22 dopo i primi 5 anni. A Panama, dove sono presenti 2600 imprese dedite a commercio e servizi, c’è un interscambio di 21,6 miliardi di dollari, di cui 11,4 miliardi in export. Non dimentichiamo, inoltre – conclude Grassi – che il decreto legge contiene  importanti norme come quelle sulla ricollocabilità dei lavoratori delle aree di crisi industriale del Mezzogiorno, che prevede una copertura finanziaria fino alla fine del 2018, e quelle sulla imprenditorialità giovanile, che permette un vasto programma per promuovere il lavoro autonomo, i talenti e la creatività dei giovani in tutto il Mezzogiorno”.