di LAURA BERCIOUX
Scarpette rosse, rosse come il sangue O come l’odio. Scarpette che diventano simbolo della giornata mondiale contro la violenza alle donne. Sono migliaia le vittime per violenza fisica, psicologica e omicidio. Violenze che si consumano tra le mura domestiche, lontano dagli altri, lontano da occhi indiscreti. Donne violentate che non reagiscono perché hanno paura del dopo. Donne che non sono indipendenti economicamente. Donne fragili che vivono nel buio di una vita strappata, bambini che subiscono inermi e che portano con sé un’infanzia negata. Kalima vive in Italia. Per la sua sicurezza, il nome è di fantasia. E’ ospite di un centro anti violenza e si è salvata dal suo aguzzino dopo 13 anni di sofferenza.
“Ho 47 anni. Ho conosciuto il mio compagno il 1998 e abbiamo vissuto insieme per tredici anni. Nel duemila è nato nostro figlio. I primi mesi era buono, poi è cambiato con me. Sempre nervoso. Mi insultava. Sono iniziati i problemi economici. Mi lasciava spesso da sola con il mio bambino e tornava a notte fonda. Non avevo nessuno, dovevo cavarmela da sola. Una volta, il bimbo aveva tre mesi, ebbi una crisi e mi rivolsi alla mia vicina, che mi ha aiutò, lui non c’era. Mi lasciava senza soldi ed ero costretta a chiedere in giro un aiuto per dar da mangiare al bambino, per comprare il latte. Quando era a casa gridava sempre, mi insultava continuamente, mi picchiava e usciva. Ho iniziato a dubitare sulla sua vita, su cosa facesse. Sebbene lavorasse, mi lasciava pochi euro per dieci, quindici giorni. Non è mai venuto con me dal medico per il bimbo, o a scuola. Ho lavorato come collaboratrice domestica per tirare avanti. Lui non aveva nessuna responsabilità per la casa e quando glielo ricordavo, si rivolgeva sempre con le urla: mi faceva una forte violenza psicologica. Tutto avveniva davanti al bambino. Parolacce e insulti e mi diceva che dovevo essere grata che lui mi aveva dato una casa”.
Com’era il rapporto con vostro figlio?
“All’inizio positivo. Poi, con il passare del tempo, il bimbo si spaventava per i comportamenti del padre: quando lo vedeva la sua faccia era quella del terrore. Era un bimbo molto infelice”.
Ti picchiava?
“Mi ha picchiato diverse volte davanti a mio figlio. Una volta mi ha buttato a terra e mi ha dato calci dappertutto, schiacciandomi con i piedi e facendomi molto male. Il bambino gridava, i vicini di casa sentivano le urla, ma nessuno interveniva. Poi ho scoperto che aveva altre donne, ecco come spendeva i suoi soldi. Quando gliel’ho detto, visto che avevo trovato le prove che aveva portato in casa un’altra donna, ha cominciato a gridare e mi ha spinto su una stufa. Mi sono fatta male alla testa, mio figlio gridava e piangeva, volevo chiamare il 118 ma lui non lo permise. Quando trovavo lavoro, lui mi seguiva per non farmi guadagnare soldi ed essere la sua schiava. Dovevo stare a casa, a lui non piaceva che fossi indipendente”.
Perché era violento con te?
“Non lo so. Fuori era allegro e buono. Ma chi lo consoce bene, sa che non è così”.
E il bimbo?
“Il bimbo reagiva male, non mangiava più. Aveva paura del padre e quando una volta mi ha picchiato duramente, mio figlio voleva chiamare i Carabinieri, ha chiamato i vicini e mi hanno portato al Pronto Soccorso. Mio figlio un giorno mi ha detto “Mamma, salvami! Io non ho più un ricordo bello di questa casa, voglio andare via di qua”.
E cosa hai fatto?
“Quando mi ha picchiato l’ultima volta, mi ha minacciato, tenendoci svegli tutta la notte. Allora, io e mio figlio siamo scappati e l’indomani ho denunciato il mio compagno. Dopo mi ha obbligato a ritirare la denuncia, minacciando che mi avrebbe tolto il figlio. E ha continuato con la violenza. Un inferno lungo 13 anni”.
Cosa ti ha spinto a reagire?
“Quando ho capito che la mia unica salvezza era andare via, era chiedere aiuto. Allora ho reagito e sono andata via. Mio figlio non ce la faceva più e rifiutava il cibo, andava male a scuola, era triste, aveva paura per me. Mi sono rivolta a un centro di accoglienza e antiviolenza e oggi mio figlio è cambiato moltissimo, sta bene, va a scuola, ha una vita normale, gioca, fa i compiti”.
Ora sei in un programma di protezione?
“Ora sto bene. Di quella casa degli orrori non ricordo più niente perché voglio dimenticare tutta la violenza che ho subito e non tornare con il pensiero indietro. Troppo dolore per me e mio figlio
E il tuo ex?
“Oggi indagano su di lui dopo la mia denuncia. Ha provato a chiamarmi, ha minacciato me e chi mi ha aiutato. Ora sono qui protetta e lontana da lui. Lui non sa dove sono. Ora aspettiamo l’esito delle indagini”.
Quale messaggio dai alle altre donne vittime?
“Voglio ringraziarti per avermi ascoltato . Per la giornata della giornata contro la violenza alle donne, vorrei che ci fossero “tanti giorni” dedicati alle donne che subiscono violenza, che vengono ammazzate, che hanno paura di denunciare i propri aguzzini. Centinaia di donne non parlano, non chiedono o non trovano aiuto, hanno troppa paura. Il mio messaggio è “alzate la testa, reagite e cercate aiuto. Non dovete piegare la testa ai vostri aguzzini, non dovete mai più essere schiave”.
Eppure questi uomini violenti sono figli delle donne…
“Penso che questi uomini hanno avuto delle cattive madri, un’infanzia infelice, brutta. Ce l’hanno con le loro mamme e si scatenano sulle proprie moglie o compagne. Oggi io sono felice perché vedo mio figlio che sta bene e si può ricominciare. La vita non è “solo un uomo”: la nostra vita possiamo viverla anche da sole, libere dalla violenza e lontano da questi uomini”.