Di Laura Bercioux
Fabrizio Gallichi, napoletano per 50 anni cui sono seguiti anni di felice esilio. Militante a sinistra, dal 1969 é riuscito a interpretarne in tempo reale il fallimento politico e culturale. Oppositore strenuo dal 1994 della folle procedura attivata per Bagnoli, fautore di una profonda riforma dei legacci e vincoli che in ogni attività impediscono il fare ed arricchiscono il sottobosco della politica, ha ottenuto solo una forma di ostracismo, mentre la città pagava milioni alle anime belle della neo aristocrazia comunista.
Partecipa attivamente e con ruoli nazionali alla vita delle comunità ebraiche, ma, rilevata la eccessiva berlusconizzazione di queste, é tornato a riveder le stelle della progettazione architettonica. Eccolo a “Visti da lontano”, intervistato da IlSudOnLine.
Quale è il suo rapporto con Napoli e il Sud?
“Ciò che mi lega al sud é la fascinazione per una terra più grande, molto più grande, della sua estensione geografica, in ragione della sua ricchezza naturale, della articolazione delle culture che accoglie, della sua significativa presenza ininterrotta sullo scenario della storia”.
Cosa ricorda di bello e positivo?
“Di Napoli le amicizie, la forza del desiderio di fare, di acquisire consapevolezza per compiere in coscienza e responsabilmente scelte soprattutto politiche, la condivisione della scoperta e del progetto, almeno fino alla metà degli anni ’80. Del Sud mi affascina ancora il suo territorio, ma particolarmente ricordo anche per la ricchezza umana della sua gente la Lucania”.
Qual è la percezione della reputazione di Napoli nel suo ambiente di lavoro?
“Pessima, forse ancora peggio per i racconti che ne faccio”.
Attualmente qual è l’opera più simbolica di Napoli e del Sud?
“Il ponte sullo stretto, per l’incapacità a scegliere cosa fare dimostrata anche trasferendo, per accidia, tale scelta dal piano politico e di governo del territorio a quello tecnologico che é quello ove le idee si trasformano in soluzioni possibili e che ha prodotto nel mondo opere ben più ardite. Sarebbe stato più decoroso e, quindi, segnale di intelligenza, decidere sul piano politico di non farne nulla, ma al sud la politica morì tanto tempo addietro”.
Qual è l’autore che più di altri rappresenta il Sud?
“L’autore di espressione artistica che meglio rappresentò il sud d’Europa e, quindi, d’Italia fu un pittore lombardo detto Caravaggio. Sul piano letterario Pirandello, dopo di lui solo giocolieri di parole”.
Domenico Rea parlò di due Napoli che vivono fianco a fianco ma separate (la borghesia e i lazzari) e senza diventare popolo: Le sembra una chiave di lettura ancora attuale?
“Credo non lo sia mai stata. Tale ipotesi vuole coprire con un telo di ipocrita sociologia la scelta consapevole della sinistra ad evitare di governare davvero la città e la regione, di compiere scelte e non solo amministrare. I Lazzari sono, invece, quanti godono di una posizione di rendita, dal disoccupato- senza alcuna intenzione di darsi da fare- al dipendente delle pubbliche amministrazioni, generalizzo ricordando quanto ciò possa essere efficace ed ingiusto al contempo. La borghesia é falsamente impegnata, tutela i propri interessi, lascia che autoproclamati rappresentanti del popolo assumano ruoli politici per farne proprio strumento. Si guardi la composizione della classe dirigente di bassoliniana formazione e la mancata formazione di una classe dirigente dell’area cui il sindaco-ministro-governatore dichiarava appartenere”.
Raffaele La Capria parla di ferita insanabile aperta nel 1799. Quando i lazzari presero i borghesi illuminati nelle loro case e li trucidarono sulla piazza completando l’opera del Cardinale Ruffo… Questa ferita ancora sanguina a suo avviso o è una enfatizzazione letteraria?
“Il 1799!! L’aristocrazia –sedicente- illuminata ritenne poter cambiare le cose. Da aristocrazia non si pose il problema di cosa o di come si sarebbero comportate le “masse”. Perché avrebbero dovuto, loro erano l’aristocrazia! Begli ideali su uomini incapaci di pensare in termini strategici. Belli, come il Che. Stupidi come chi con un manipolo pensa poter sollevare una rivoluzione di contadini! Mi astengo dal dire cosa penso degli intellettuali da salotto che spacciano questa interpretazione come una romantica lettura”.
Cosa farebbe se fosse il sindaco di Napoli?
“Non sarò mai sindaco di Napoli. Se dovessi dare un contributo ad un sindaco, gli direi di parlare chiaro, di portare le pastoie del consiglio al di fuori del palazzo. Consiglierei di attivare un processo di attribuzione di credibilità al Comune attraverso la definizione di procedure certe e rapide, potendo rivolgersi agli operatori economici per aprire una stagione di partenariato pubblico-privato per la valorizzazione di beni pubblici, l’offerta di servizi e la gestione di questi, senza impegnare fondi ridare vita ad un flusso di investimenti. Costituire una task force per la acquisizione di ogni finanziamento pubblico possibile, affidare il massimo di deleghe alle municipalità, incrementare il riuso al fine di ripopolare la città e, così, poter meglio offrire servizi pubblici. Istituirei a Napoli una assise di confronto, con grande senso rivendicativo verso l’Europa, tra tutte le amministrazione del sud Italia”.
Cosa non farebbe mai se fosse il Sindaco di Napoli?
“Fare demagogia, mostrare prospettive che non ci sono. Se si ha presente Bassolino, Jervolino e l’attuale occupante palazzo San Giacomo, l’esatto contrario”.
bellissima, pur nella sua amarezza, descrizione di un mondo che è vittima di comodi stereotipi e luoghi comuni. In realtà, napoli è, dal fascismo in poi, una colonia: e da colonia sono i comportamenti delle sue elite….tutte. Dal dopoguerra in poi, tutto quello che si è deciso per napoli è stato deciso al di fuori di napoli. Dal post laurismo, alle prime giunte di centro sinistra, alle giunte di sinistra fina a quella, nefasta per la miseria culturale, di bassolino e poi della iervolina. Sull’ultima ….meglio stendere un sudario pietoso….piena di massimalisti italianostristi. Condivido tutte le proposte avanzate fa galliche: decentramento responsabilizzato, snellimento delle procedure , creazione di forme di partenariato pubblico-privato per una moderna grstionr del patrimonio cultura, eccetera. ……il nodo centrale della questione è: chi raccoglie la sfida? certamente non i portaborse di quelli che comandavano prima. E allora ? Non so se le elette si formano spontaneamente: in genere o sono pilotate dall’esterno oppure si organizzano intorno ad una prima e condivisa ipotesi di progetto. Tutto sta a incominciare….