Di Laura Bercioux
Giornalista, esperto di economia, da La Stampa al Sole 24 Ore, da La Repubblica al Giorno, poi Panorama, Sergio Luciano, napoletano a Milano, a “Visti da Lontano” con il suo occhio a Napoli, dov’è nato e cresciuto.
Quale è il suo rapporto con Napoli e il Sud?
“E’ un rapporto fatto più di premesse che di vissuto. Io sono, o almeno mi sento, profondamente napoletano e meridionale, intendendo queste definizioni in un senso che però s’incardina sulla mia storia personale, fatta di formazione, relazioni, analisi e anche distacchi. Ma non è un rapporto declinato nel concreto, proprio perché me ne sono andato via a 21 anni, non senza molta rabbia per l’ingiustizia profonda di cui era – e credo ancor più sia oggi – impregnato il sistema sociale ed economico-politico della nostra città… L’ingiustizia di non saper dare occasioni a chi s’impegna. Non ce n’erano e ancor meno ce ne sono. Erano gli anni del “Fujtevenne ‘a Napoli”, di Eduardo…”.
Cosa ricorda di bello e positivo di Napoli e del Sud?
“Tante ovvie bellissime cose relative alla qualità della vita e dei rapporti umani. Un’intelligenza diffusa con pochi confronti nel mondo, almeno nel mondo come l’ho conosciuto io. La capacità di guardarsi da fuori, l’ironia come misura delle analisi, una discreta solidarietà, il gusto della vita. Ovviamente il clima, il cibo, i luoghi. La creatività, la capacità di impegnarsi, una volta che lo si decida. L’emotività. Insomma… tante cose”.
Qual è la percezione della reputazione di Napoli nel suo ambiente di lavoro?
“Napoli è vista come un ossimoro vivente. Tutto il meglio e tutto il peggio dell’Italia nello stesso lembo di terra, tra la stessa gente. Banalizzando: la capitale della munnezza e le eccellenze della ricerca o della medicina. Però, nell’insieme, le doti, i pregi, pur numerosi, stanno come soccombendo sempre di più, sia pur lentamente, di fronte ai difetti del sistema ma anche, purtroppo, di tanti, troppi individui. Il che sta rovinando la reputazione della nostra città. Da angolo di paradiso con qualche mela marcia ad acquitrinio con qualche bel fiore qua e là”.
Attualmente qual è l’opera più simbolica di Napoli e del Sud?
“Non mi salta in mente nulla di forte, forse il Vulcano Buono, forse la Metropolitana di Napoli, miracolosamente illesa dal vandalismo demente che mantiene i due terzi delle opere pubbliche cittadine in condizioni di degrado perenne. Ma starei bene attento a non abusare del concetto di “simbolo” parlando di Napoli e di Sud perché rischiamo di farci molto male…”.
Qual’è l’autore più rappresentativo di Napoli e del Sud?
“Con tutto il rispetto per i viventi, quello che mi stimola la massima identificazione e mi emoziona di più rimane Eduardo De Filippo”.
Domenico Rea parlò di due Napoli che vivono fianco a fianco ma separate (la borghesia e i lazzari) e senza diventare popolo: le sembra una chiave di lettura ancora attuale?
“Ci sarà forse una ragione storica corretta, in questa analisi, ma riproporla oggi è troppo intellettualistico, viviamo immersi nella Rete, se avessimo le analisi dei flussi dei social media (che ci nascondono per paura di conclusioni politicamente scorrette) constateremmo quanta e quale varietà di dibattito, scambio, polemiche, cretinaggini, infamie, deliri, sogni, promesse, sentimenti, passioni, insulti e quant’altro infiamma il web dei napoletani… Non scomodiamo i Lazzaroni, lasciamo in pace il Cardinale Ruffo, l’acqua passata non macina più, i meriti e le colpe di oggi sono tutti nostri, di noi che viviamo oggi. Come diceva Gesù, lasciate che i morti seppelliscano i morti”.
Raffaele La Capria parla di ferita insanabile aperta nel 1799. Quando i lazzari presero i borghesi illuminati nelle loro case e li trucidarono sulla piazza completando l’opera del Cardinale Ruffo… Questa ferita ancora sanguina a suo avviso o è una enfatizzazione letteraria?
“La storia è giustificatrice, diceva un altro grande di Napoli, Benedetto Croce. Ma una volta giustificato ciò che c’è da giustificare – e l’analisi di Vincenzo Cuoco ripresa da La Capria mi ha sempre suggestionato e convinto – la storia deve lasciare il passo alla politica, per gestire e risolvere i problemi collettivi, e alla cultura per analizzare e canalizzare per il meglio quelli individuali. E’ esattamente questo che non è ancora accaduto: né a livello politico né a livello di coscienza collettiva. Pensare che ci sia un nesso ancora attivo tra fatti accaduti 215 anni fa ed oggi è un insulto all’intelligenza. Un nesso causale, sì; un nesso agente, ma figuriamoci…”.
Cosa farebbe se fosse il sindaco di Napoli?
“Se fossi io nei panni di De Magistris, pur protestando come legittimamente fa la mia innocenza, mi dimetterei. Non si può contraddire così clamorosamente tutta una linea valoriale e culturale cavalcando la quale è arrivato fin lì”.
Cosa non farebbe mai se fosse il Sindaco di Napoli?
“Promesse vane. Troppe ne sono state fatte. Non se ne può più…”.