È una ricetta antica, quella del ministro Matteo Salvini sul calcio e il tifo. Un ritorno al passato. Alla vigilia della ripresa del campionato di caldo, metabolizzata la giornata di straordinaria violenza di Milano, durante la quale è mono l’ultras varesino Daniele Belardinelli, il ministro riapre la strada ai famosi treni per tifosi. «Vietare le trasferte, non va bene. Come chiudere gli stadi. È la resa dello Stato. Ma meglio evitare le trasferte fai-da-te. Sono più controllabili 1000 tifosi che viaggiano tutti assieme, e se qualcuno danneggia le carrozze ferroviarie ne risponderà, piuttosto che avere 100 minivan che entrano in città da tune le parti». Ora il capo del Viminale rivuole le transumanze ultrà. «I teppisti sono solo 6mila, li sradicheremo», promette il ministro dell’Interno sottolineando che non vanno confusi coi 12 milioni di tifosi che settimanalmente seguono le partite. Seimila sarebbero i daspati. E gli altri, non li contiamo? «Rischiamo di mettere in mano a pochi il destino di tanti». È l’argomento usato dal “Capitano”. Il quale non si rende conto che è proprio riabilitando le trasferte collettive e “liberalizzando” i cori che si fa il miglior regalo ai “pochi”. Dettaglio: la gestione delle trasferte e relativi biglietti è da sempre — insieme al controllo dello spaccio — la principale fonte di guadagno di molti capi curva. Il Salvini-ultrà che tende la mano a chi frequenta i settori controllati dai boss del tifo va contro il Salvini-ministro.