Dalla confisca alla riassegnazione passano circa 10 anni: in quel frangente la proprietà è priva di custodia e vittima di punizioni criminali, al tal punto che le cooperative che riescono a subentrare si trovano di fronte a distese desertiche. A più di vent’anni dalla legge pilota circa 14mila aziende sono passate nelle mani dello Stato. Ma circa il 90% ha chiuso i battenti o è stato liquidato.
Le aziende confiscate e poi lasciate morire sono quasi 600 all’anno, per un valore commerciale di 10 miliardi di euro. Il problema colpisce non solo le aziende di comodo ma anche e soprattutto realtà strutturate, nel 50% dei casi aziende con un capitale medio tra 10 e 20 mila euro, con a disposizione mezzi e infrastrutture di livello. Perché muoiono queste aziende? Non riescono a essere competitive sul mercato legale perché schiacciate dalla pressione fiscale che le precedenti gestioni evitavano, dalla messa in regola dei lavoratori in nero, dalla mancanza di fondi per rimettere mano alle strutture che, durante gli anni del processo, cadono in rovina o peggio ancora vengono depredate dalle mafie stesse.
Le banche, poi, fiutando l’arrivo dello Stato, ai primi segnali di un coinvolgimento in indagini antimafia dei clienti chiudono i rubinetti e la possibilità di un qualsiasi finanziamento. Anche dopo che l’azienda è stata tolta ai boss e affidata a un curatore. E’ anche un assist per la criminalità. Il messaggio è quello di una mafia capace di organizzare il lavoro e di uno Stato che interviene in maniera superficiale, creando così scie di disoccupazione.