di LAURA BERCIOUX
Quando nel mondo si diffonde una peste come Ebola, la scienza è chiamata a rispondere e a scoprire come evitare le migliaia di morti per questa malattia. Ne parliamo con lo scienziato, il prof. Giulio Tarro, Primario emerito del “D. Cotugno”, Napoli, Chairman della Commissione sulle Biotecnologie della Virosfera, WABT – UNESCO, Parigi,Adjunct Professor College of Science and Technology, Temple University, Philadelphia.
Prof. Tarro, per quel che Le è dato di sapere, è vero che il vaccino contro l’Ebola è nato a Napoli, cioè al CEINGE, anche se adesso il brevetto appartiene ad altri?
“Penso che il disegno del vaccino sia nato altrove (oltre Manica ed oltre Oceano) dove si ipotizzano vaccini strutturati come questo dell’Ebola, così promozionato. Il vaccino italiano non è più tale perché la Glaxo Smith-Kline (GSK) lo ha acquisito e lo sviluppa con la collaborazione dell’Istituto Nazionale della Salute (NIH-USA) cioè il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID). Ma, più in generale, se attualmente la mortalità con Ebola e’ del 50% e si trova che il vaccino protegge del 50%, qual è il significato dello stesso? Forse solo perché, dal momento che l’OMS lo ha accettato, è diventato un vaccino ufficiale. Non si sottolinea mai a sufficienza che il vaccino deve essere un mezzo di prevenzione e non di guarigione. Personalmente ribadisco la mia linea di ricerca e sviluppo sui vaccini in modo classico con risposta degli anticorpi umorali e/o cellulari da parte del ricevente verso virus inattivati (esempio Salk) o attenuati (esempio Sabin) oppure particelle mimetizzate (esempio papilloma virus). Sicuramente, per la profilassi della diffusione della malattia da virus Ebola, servono tutte quelle indicazioni da me segnalate in un mio precedente manoscritto pubblicato dall’Associazione di studi e informazioni sulle salute”.
A suo parere il vaccino prodotto al Ceinge è efficace o è, come si dice, una bufala? Riuscirà a salvare vite umane quando sarà distribuito massivamente?
“Non possiamo definire efficace il vaccino attuale perchè soltanto dopo la sua somministrazione potrà essere valutato sull’uomo mentre vi è solo una sperimentazione sulle scimmie: si bypassano, quindi, non solo molti problemi bioetici ma anche di sicurezza. Non credo che sarà mai distribuito “massivamente”, in quanto potrà servire solo a popolazioni che si trovano in paesi disagiati economicamente ed igienicamente”.
Cosa si potrebbe fare per avere un vaccino più efficace?
“Sono allo studio altri vaccini che potrebbero risultare più efficaci, come ad esempio quello che si sta elaborando in Canada. Il vaccino usa la strategia del cavallo di Troia, con un vettore virale benigno e una proteina di superficie del virus Ebola verso cui l’individuo ricevente produce anticorpi cellulari specifici. Nella fase preliminare, sulle scimmie, si è usato un richiamo come adiuvante alla risposta immune che non è previsto nella applicazione sull’uomo. Un altro vaccino studiato in Canada, utilizza un altro virus vettore che di per se è più immunizzante perché non ha bisogno del richiamo. Bisogna fare una scorciatoia sui problemi bioetici e sulla interpretazione dei dati che verranno raccolti, pressati dalla situazione attuale di emergenza. Di fronte all’offerta dell’isolamento del paziente e della potenziale quarantena dei soggetti contattati, questo vaccino rappresenta una soluzione. Ma dal momento che ci troviamo in paesi poveri, con sistemi di sanità che non funzionano e risposte lente rispetto all’emergenza, i problemi sono più grossi. Esistono, infine, terapie con anticorpi monoclonali ancora da provare e soprattutto i classici anticorpi specifici prodotti dai soggetti guariti (immunoterapia passiva) cui si ispirano le mie ricerche”.