di Massimo Calise
Non può passare inosservata la notizia che il 1° gennaio del prossimo anno saranno istituiti 20 nuovi Comuni frutto della fusione di 57. Quindi il 2016 si appresta, probabilmente, ha superare il “boom” delle fusioni del 2014 descritto nell’articolo “Fusione dei Comuni. Un’occasione perduta per il Sud”.
Ricapitolando: in due anni dal 1° gennaio 2014 al 1° gennaio 2016 si saranno fusi, in totale, 130 Comuni creandone 50 nuovi; il numero dei Comuni italiani risulta diminuito di 80.
Nella Fusione dei Comuni molti politici ed amministratori hanno visto la possibilità di affrontare positivamente la crisi generale e la crescente difficoltà degli enti locali.
Si tratta di una possibile e concreta riforma strutturale che parte dai territori, peraltro finanziata ed agevolata in varie forme. I comuni frutto della Fusione saranno più efficienti, potranno erogare maggiori servizi ai cittadini, aumenterà la loro capacità di stimolare lo sviluppo dei rispettivi territori, saranno interlocutori più “pesanti” per la Regione ed il Governo.
Ormai è opinione diffusa che Comuni piccoli non possano assolvere adeguatamente ai loro compiti, lo testimonia anche l’articolo 15 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali: “Salvo i casi di fusione tra più comuni, non possono essere istituiti nuovi comuni con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti”. Insomma il numero di 10.000 abitanti è indicato come soglia minima. Viceversa l’Italia è estremamente frammentata; la media del numero di abitanti per Comune è di appena 7500. Alcuni esempi: i 158 Comuni della provincia di Salerno hanno, in media, meno di 7000 abitanti, i 78 della provincia di Benevento meno di 4000.
È intuitivo che un Comune con poche migliaia di abitanti, tanto più se circondato, come è frequente osservare, da altri di dimensione analoga non possa assicurare ai propri cittadini servizi adeguati e alcuna prospettiva di sviluppo.
Allora che le Fusioni siano discusse ed attuate solo nel Centro-nord del Paese non può essere frutto di una “distrazione”. È la qualità della classe politica meridionale che, pur in un panorama nazionale non esaltante, riesce a distinguersi per la sua colpevole inadeguatezza. Essa, infatti, gestisce le istituzioni locali in modo estrattivo ossia finalizzato ad “estrarre” rendite e consenso a loro favore. È grave che il Meridione, che più di altri dovrebbe profittare delle opportunità che si offrono, non le colga a causa della classe politica che noi meridionali abbiamo scelto. Cosa bisogna pensare, che occorra un evento straordinario, esterno, per superare questo immobilismo?