Fu forse colpa di un asteroide se, circa 66 milioni di anni fa in un brevissimo lasso di tempo vi fu la fine per il 75 per cento della vita sulla Terra.
L’impatto avrebbe innescato una serie di reazioni a catena, dagli tsunami a un forte abbassamento delle temperature, che avrebbero condotto alla scomparsa della gran parte delle specie viventi presenti sul pianeta. E noi non c’eravamo.
Per quanti si occupano di conservazione della natura appare chiaro che viviamo nel bel mezzo di una nuova estinzione di massa, ossia la sesta, da quando è comparsa la vita sulla Terra. Però si tratta della prima a venire accelerata dalle azioni di una specie in particolare (la nostra, ovviamente).
“Ultimo cane”
Dapprima fu un puntolino in movimento sulla bianca strada smaltata. Poi si comprese che quella macchia si muoveva ritmicamente su corti arti veloci. Ma soltanto quando distò circa 20 ragme mondiali, i terrestri furono in grado di capire che si trattava di un “animale”. E rimasero di sasso. Sulla nuova terra di smalto, acciaio e duracrylion, anche il verde era tutto artificiale. Ma produceva fotosintesi clorofilliana e sembrava persino vivere e crescere. Nello Pesudozoo erano conservati con cura i corpi imbalsamati di molte specie animali oramai estinte e si potevano rivedere nel loro habitat naturale a mezzo di videoscopi ad immersione totale, provando il brivido di una caccia grossa in africa o, più semplicemente, il quotidiano vivere in una fattoria allietata da animali da cortile, mucche, cavalli e maiali. A memoria d’uomo insomma non si era più visto un essere animale vivente; malgrado ciò, a dispetto d’ogni razionale ragionamento, quella bestia avanzava, leggermente di sbieco, verso di,loro. Il panico serpeggiò nell’aria fresca di marzo, purificata dai diffusori di ossigeno e gli uomini restarono fermi, senza decidersi sul da farsi, fissando quell’essere animale vivo che, imperterrito, avanzava.
Il cane, (poiché di un cane si trattava), non sembrava sentirsi a disagio. Nel camminare agitava la lunga coda bianca e nera fra le zampe, timidamente mentre col naso nero fiutava intorno alla ricerca di qualche odore noto che non trovava. Le tute degli uomini difatti erano asettiche e d’intorno l’unico odore percepibile era quello dolciastro dei disinfettanti d’ossigeno. Tuttavia non parve perdersi d’animo.
Era un comune “bastardo da caccia” dagli occhi di un caldo color nocciola, il folto pelo bianco e nero ed il muso, lungo e simpatico, tagliato in due da una macchia bianca che ricopriva anche l’orecchio destro; se ne andava a passeggio in uno spazio temporale totalmente diverso da quello che era stato il suo, con molta curiosità. Nell’avvicinarsi al primo uomo che gli capitò a tiro lo annusò ben bene, dando poi in qualche starnuto di fastidio nel percepire il pungente odore dell’afoplastica di cui era costituita la tuta, poi si accucciò fiducioso ai suoi piedi.
Questa fu dunque l’entrata in scena di “Ultimo cane”, così come la raccontarono i testi scientifici (anche se in termini più prolissi ed ampollosi) per molto tempo a venire, finché divenne leggenda.
Una equipe di scienziati provenienti dalle più svariate parti del mondo ( e due anche da Terra 2) fu chiamata per investigare sullo strano evento. Si diedero molte arie professionali, parlarono di “transfert psico-fisico del soggetto” ma alla fin fine dovettero limitarsi a trovargli una “cuccia” e del latte di soia per dissetarlo. “Ultimo cane” mostrò di gradire l’una e l’altro e da quel giorno fatidico permise gentilmente che ci si occupasse di lui, mostrandosi soltanto leggermente infastidito dal continuo affollarsi di gente venuta per ammirarlo e dagli esperimenti fatti su di lui dagli scienziati ovviamente attenti a non fargli alcun male.
Tenuto conto del fatto che portava su di sé un bel po’ di pulci e “fauna” di vario tipo, tali bestiole gli furono delicatamente tolte per analizzarle e farle riprodurre in vitro. In proposito per mesi circolò la deliziosa notizia che l’intera famiglia del dirigente a cui il cane era stato affidato mostrava strani segni di irrequietezza ed andava grattandosi di tanto in tanto nascostamente. Ma la cosa restò a livello di pettegolezzo. Ufficialmente apparve sui videofoni la sua immagine tranquilla, mentre in sottofondo voci di sempre differenti studiosi parlavano di lui in tono austero ad una infinità di altrettanto austeri individui.
Soltanto i bambini che per carità divina conservavano il raziocinio brutale proprio dell’infanzia, mostrarono di non comprendere tutto quell’interesse scientifico: era un CANE dopotutto! Perché non permettere loro di giocarci e correre con lui? Intuivano che i cani da sempre sono perfetti per divertirsi e fare divertire i bambini!
Dopo circa sei mesi dal suo arrivo si decise che “Ultimo cane” soffrisse di solitudine. Gli costruirono un simpatico amico di acciaio del tutto simile a lui tranne per i caratteri sessuali primari. Insomma una femmina. I tecnici avevano assicurato che l’odore emanato dalla finta bestia sarebbe stato proprio quello giusto. Avevano lavorato molto e speso molti fondi della ricerca scientifica per farlo odorare come una cagna… ma “Ultimo cane” non gradì. Osservò, annusò, tastò… e ritornò al proprio angolo mugolando per poi cacciare la testa sotto le zampe davanti. Vi fu uno scoramento generale. Cosa fare per evitare che morisse di noia? A questo punto si rifece sentire la voce impertinente dei bambini:
”Perché non lasciate che giochi con noi? E’ soltanto un cane, dopo tutto!”
Vennero messi a tacere con parole severe. In quella freddezza scientifica “ultimo cane” trascorse ancora un mese della sua vita. Era felice soltanto quando inseguiva una palla col figliolo del guardiano. Ma accadeva raramente e clandestinamente, nei momenti in cui il ragazzo poteva sottrarsi alla sorveglianza del genitore. Fin quando vennero scoperti ed il guardiano perse il posto.
Un giorno, a sette mesi dal suo arrivo, decise di andarsene. Non potendo fuggire dalla stretta sorveglianza a cui era soggetto e non riuscendogli di rientrare nel suo felice spazio temporale, fuggì dal suo corpo. In altre parole… morì.
Lo piansero tutti e ciascuno sprecò il suo tempo per spiegare quale errore fosse stato commesso nel corso di quei mesi. Soltanto i bambini, mostrando di essere molto testardi insistettero nel dire che, se gli si fosse permesso di giocare con loro, non sarebbe morto tanto presto. Ma furono messi a tacere.
Bianca Fasano