“Mi ritengo una figlia adottiva del Vesuvio. Sono nata a Napoli in un luogo dove appena ho spalancato gli occhi sul mondo ho visto lui, il vulcano di tutti i vulcani. Solo per caso, però, perché poi sono stata portata nella mia terra, la Calabria, dove pure sono cresciuta col Marsili sotto la schiena, e a un passo da “Iddu”, lo Stromboli. Insomma, al Sud siamo figli dei vulcani, prima che delle stelle. Tornata a Napoli, per frequentare l’Università, non ho mai vissuto in un luogo o in una casa da cui non si vedesse il Vesuvio. Prima il collegio, poi appartamenti, ma il Vesuvio c’è sempre stato. Attualmente lo intuisco più che vederlo, ma appena scendo in strada lui è sempre lì, mi accompagna, immenso, quando esco e quando torno. Una specie di sentinella della mia vita.
Questo per spiegare a tutti gli amici che non sono di Napoli, e ci ritengono forse esagerati nel nostro lutto, il rapporto quasi carnale che ci lega al Vesuvio. Il nostro è un dolore vero, e lo stiamo accompagnando in questo rogo che non finisce più, lungo come un’agonia.
Quando il teatro di morte da quelle parti sarà completo, sarà però necessario passare ai fatti e non mollare la presa: pretendere come cittadini un riordino del Parco e un piano che coinvolga i nuovi carabinieri Forestali nella sorveglianza, la bonifica delle discariche abusive che hanno ucciso i boschi, un’azione efficace che blocchi i versamenti illeciti, lo stop definitivo dell’abusivismo.
Il Vesuvio, e tutte le terre adiacenti, richiedono più uomini e più mezzi, un’attenzione continua. La politica lo farà o resterà ancorata ai suoi teatrini televisivi? Mentre noi tutti torneremo soltanto ad ammirare e fotografare “la montagna” nella sua bellezza? Speriamo di no.”
di Carla Di Napoli