Alessandro Corti
Diciamo subito che non è propriamente un regalo. L’anticipo della pensione a 63 anni, riservato ai disoccupati che almeno per 30 hanno riempito le casse dell’Inps di contributi, potrebbe rivelarsi un affare poco vantaggioso, trasformando la norma nell’ennesimo flop dell’esecutivo. E’ già successo in passato, proprio sul fronte della previdenza. Un caso per tutti: la staffetta fra lavoratori giovani e quelli anziani. Ma ora, il meccanismo è ancora più articolato perché di fatto costringe gli aspiranti pensionati ad accendere un mutuo (con tanto di copertura assicurativa) in grado di coprire i costi sostenuti dallo Stato per ridurre l’età previdenziale.
Sappiamo bene che si tratta solo di un primo esperimento. E non è escluso neanche che già con la prossima legge Finanziaria l’esecutivo non corra ai ripari, magari ammorbidendo le norme più pesanti. Ma già così l’operazione presenta non poche incognite anche se (e vale la pena di sottolinearlo), cerca di trovare una soluzione “sostenibile” a problemi che, giorno dopo giorno, diventano sempre più gravi. Gli italiani, infatti, sono destinati a lasciare il lavoro sempre più tardi. Mentre i più giovani, quelli che hanno avuto carriere discontinue, rischiano di incassare assegni da fame a fine attività. Se a tutto questo aggiungiamo un mercato del lavoro fortemente condizionato dall’aumento dell’età pensionabile e dove il ricambio generazionale è poco più di un miraggio, è chiaro che l’Ape sociale rappresenta il più classico dei “pannicelli caldi”.
Certo, con i conti pubblici che ci ritroviamo, l’ipotesi di tornare al passato o di fermare l’innalzamento dell’età pensionabile alla speranza di vita, rischia di essere non solo costosa ma, soprattutto, insostenibile. Detto questo, però, è anche vero che così come è stata congegnata, l’Ape sociale rischia di avere un costo altrettanto insostenibile per i disoccupati ultrasessantenni per i quali il mercato del lavoro ha irrimediabilmente chiuso ogni porta. Il nodo da sciogliere, insomma, va ben al di là del nuovo meccanismo che anticipa l’età della pensione. Per affrontare l’emergenza previdenziale occorrerebbe partire dal mercato del lavoro, dai meccanismi che regolano il funzionamento e, soprattutto, dalla necessità di garantire forme di sostegno per coloro che, ad un’età avanzata, ne sono espulsi. Nello stesso tempo, bisognerebbe studiare interventi ad hoc per i più giovani, la categoria sociale che rischia di essere penalizzata due volte dalla grande crisi: ha già saltato l’appuntamento con il mercato del lavoro e ora rischia di saltare anche quello con la pensione. L’Ape sociale, insomma, va interpretata per quella che è: un primo passo. Ma sarebbe un grave errore fermarsi qui e considerare chiuso il “cantiere pensioni”. Rischierebbe di trasformarsi non solo in un flop ma anche in una beffa.