Antonio Troise
Mettiamoci comodi davanti alle Tv e prepariamo il portafoglio: entro i prossimi cinque anni, per continuare a vedere i programmi televisivi, avremo due strade: rottamare il già obsoleto impianto a schermo piatto che troneggia sulle pareti dei nostri salotti. O tornare all’odiato decoder, sì proprio quella scatolina che ci ha fatto compagnia nella lunga transizione fra l’analogico e il digitale. Questa volta la rivoluzione è raccolta in una sigla, Dvb-T2, con l’aggiunta di un altrettanto incomprensibile codec (Hevc). Ma, nella sostanza il discorso, per i consumatori finali, cambia poco: il 90% delle nostre tv non sarà in grado di ricevere il nuovo segnale.
Lo chiede l’Europa. Per carità, nessun blitz. E’ una transizione chiesta dall’Europa e che va attuata entro (e non oltre) la scadenza tassativa del 30 giugno 2022. Ma il conto alla rovescia, insomma, è già cominciato. Tanto che l’esecutivo ha dovuto introdurre una lunga norma nella legge di Bilancio approdata lunedì al Senato. Un articolo che delinea, nel dettaglio, lo switch off alla nuova tecnologia e che dovrà essere gestito e monitorato dall’Autorità per le Comunicazioni. Il tutto all’interno del Piano Nazionale di Assegnazione delle Frequenze, con la nuova asta prevista per il 5G e che dovrebbe portare nelle casse dello Stato almeno 2,5 miliardi di euro.
Incentivi per 100 milioni. Di questi, una buona parte (1,750 miliardi) serviranno per ridurre il debito pubblico e far quadrare i conti. Della restante parte, circa 600 milioni andranno a finire alle emittenti locali, sotto forma di indennizzo. In gioco, quindi, restano cento milioni tondi tondi che saranno destinati ad aiutare chi è costretto a cambiare Tv o ad acquistare un decoder nuovo (costo medio, fra i 25 e i 30 euro). Lo stanziamento sarà di 25 milioni all’anno a partire dal 2019 e fino al 2022. Ma i consumatori già sono pronti a dare battaglia: la cifra, infatti, coprire solo il 40% della platea di telespettatori. Gli altri dovranno rassegnarsi a fare da soli.
Transizione corta. I tempi saranno decisi, ovviamente, dall’Agcom “tenendo conto – si legge nella legge di Bilancio – della necessità di assicurare il contenimento dei costi di trasformazione e realizzazione delle reti, la riduzione del periodo transitorio e la minimizzazione dei costi e dell’impatto sugli utenti finali”. Ma, rispetto ai tempi lunghi del passaggio dall’analogico al digitale, la rivoluzione sarà più immediata dal momento che le emittenti non avranno la possibilità di utilizzare il “simulcast”, vale a dire la trasmissione contemporanea con le due diverse tecnologie, quella nuova e quella vecchia. Insomma, potremmo anche trovarci di punto in bianco a non poter vedere la trasmissione o la partita preferita se non abbiamo preso le giuste contromisure.
Cosa dovremo fare. Entro il 30 settembre 2018 il ministero dello Sviluppo avvierà le procedure per l’assegnazione delle frequenze. A questo punto dovremo stare attenti a valutare come e quando si verificherà lo switch off. Il territorio nazionale sarà suddiviso in aree geografiche che, gradualmente, passeranno alla nuova tecnologia. Entro dicembre del prossimo anno saranno decisi anche gli operatori abilitati nelle singole aree. Poi, entro luglio del 2022, il passaggio dovrà essere completato. E, via via che la tecnologia guadagnerà campo, potrebbe essere necessario non solo intervenire sul decoder ma anche sulle antenne, per adeguarle alla ricezione del nuovo segnale. In ogni caso dovremo abituarci a perdere un po’ di tempo per risintonizzare i nostri televisori. E dovremo, probabilmente, anche abituarci ad avere un telecomando in più in salotto, quello del decoder. A meno che, ovviamente, non decidiamo di cambiare l’attuale tv, magari comprato poco tempo fa ma che, nel giro di cinque anni, rischierà di diventare inevitabilmente obsoleto.