Cinque mesi fa avremmo brindato, anche un pizzico di euforia, al ritorno dell’inflazione. Il 2016 è stato, come si ricorderà un anno nero su questo fronte, con i prezzi che invece di aumentare continuavano a scendere. Un trend che ha avuto il piccolo merito di regalarci l’illusione di essere un tantino più ricchi: con gli stessi soldi potevamo, infatti, comprare più cose. Ma, nella realtà, la deflazione (come si chiama il fenomeno nel gergo tecnico) fotografava un Paese che marciava all’indietro come un gambero, lasciando sul terreno solo saracinesche abbassate, fabbriche chiuse e posti di lavoro bruciati. Per questo, il dato diffuso ieri dall’Istat, sulla ripresa dei prezzi (ai massimi addirittura da quattro anni) avrebbe potuto e dovuto segnalare un’inversione di tendenza. La fotografia di un Paese che si è rimesso finalmente in marcia dopo anni di recessione. Le cose, purtroppo, non stanno così.

Dietro la piccola “fiammata” del prezzi di aprile ci sono, infatti, due fattori. Il primo, è l’impennata dei prezzi dell’energia, una crescita del 15% che si è tradotta, immediatamente, in un aumento delle spese di trasporto e di elettricità. Il secondo fattore è la crescita delle spese sostenute dagli italiani in occasione della lunga serie di ponti per le festività di Pasqua. Una situazione troppo ghiotta per evitare che gli operatori turistici ne approfittassero con qualche ritocchino alle tariffe di alberghi o ristoranti. In entrambi i casi, il motivo dei rincari non è affatto legato ad una crescita dell’economia ma a una pura situazione congiunturale o speculativa. In queste condizioni, il ritorno dell’inflazione non è affatto una buona notizia perché potrebbe tradursi nell’ennesima stangata per gli italiani. I consumatori hanno già fatto anche per le prime stime: 540 euro in più a famiglia.

Il problema, insomma, non cambia: l’inflazione che serve al Paese per uscire dalla crisi è quella legata ad un aumento dei consumi interni e non al rincaro delle materie prime che importiamo dall’esterno. Non a caso l’indice della fiducia dei consumatori continua a rimare in panne nonostante la mini-ripresa di quello delle imprese. E’ l’esempio più evidente di un Paese bipolare, fortemente spaccato, dove ci sono ancora oltre 7 milioni di persone che vivono ai margini della povertà.

Per agganciare davvero la ripresa e uscire dalla recessione non basta il mini-rimbalzo dei prezzi generato dal petrolio o dal caro-vacanze di Pasqua. Per convincere le famiglie a spendere di più occorrer mettere qualche soldo in più nelle buste paga dei lavoratori e dare qualche segnale concreto riducendo finalmente la pressione fiscale. Senza questi due fattori, il ritorno dell’inflazione non solo non è utile al Paese ma rischia di trasformarsi in una beffa. E non solo in un danno.

Alessandro Corti