Dopo la scossa del 30 ottobre sul Monte Bove la terra ha riportato una ferita di mezzo metro. Il terremoto di 6.5 di magnitudo ha infatti prodotto “nel punto di rottura uno ‘scalino’ di 50 centimetri, in corrispondenza dell’espressione di superficie della faglia” responsabile del terremoto di domenica scorsa. Ed una deformazione così importante del suolo “non si vedeva dal terremoto dell’Irpinia del 1980”. A verificarlo sono stati due geologi del gruppo Emergeo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Marco Moro e Michele Saroli del DICeM-Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, associato all’Ingv. I ricercatori hanno raggiunto il versante sud occidentale di Monte Bove Sud e nel sopralluogo hanno verificato uno scalino di 50 centimetri nel suolo, ovvero, la “rottura cosismica primaria”, cioè la rottura prodotta da un sisma, che presenta “un rigetto di circa 50 centimetri”. “In quel punto, questa rottura è di 50 centimetri, ma ci sono alcuni altri punti dove la rottura supera il metro” ha riferito all’Adnkronos Paolo Marco De Martini, coordinatore del gruppo Emergeo. De Martini ha sottolineato che questa “è la rottura provocata dal terremoto del 30 ottobre, cioè la propagazione della rottura dal punto in cui si genera il terremoto in profondità, lungo il piano di faglia fino alla superficie”. La rottura individuata dai ricercatori è localizzata sul prolungamento del lineamento tettonico Monte Vettore-Monte Porche-Monte Bove attivatosi durante l’evento di magnitudo 6.5.