di LAURA BERCIOUX
Bruno Mazza ha 33 anni. Vive al Parco Verde a Caivano. Dopo 10 anni di carcere e dopo aver gestito le aree di spaccio, decide di cambiare vita: ora è a capo di un’associazione che bonifica un territorio invaso dalle siringhe e dall’immondizia e combatte il degrado.
Bruno, com’era la tua vita?
“La mia vita è cambiata dal giorno in cui è morto mio padre. Avevo 11 anni, eravamo 4 figli e mamma aveva grandi difficoltà in casa. Mancava il punto di riferimento, iniziano i problemi a scuola. Ero irrequieto, egocentrico e, sistematicamente, mi allontanavano dalla scuola. Ci ritrovavamo al Parco Verde, tutti con grandi problemi. Molti avevano i genitori in carcere. Eravano lasciati a noi stessi, la scuola e gli assistenti sociali non ci aiutavano. Inizio a delinquere con piccoli furti: la cassa di uva o di meloni, poi le bici le macchine, quindi i primi arresti, le prime segnalazioni ai Tribunali. Infine scippi, rapine. E la droga. Molti giovani, negli anni 90, facevano uso di cocaina e di crac. Cominciavano i primi morti per droga, per gli scontri a fuoco. Ad un certo punto sono assoldato dalla camorra per il traffico di droga e divento il braccio destro del boss dei Quartieri Spagnoli: il mio incarico è gestire tutte le piazze di spaccio. Guadagno 10 milioni delle vecchie lire a settimana: tra soldi e droga, a 17 anni, ero sul libro paga della camorra. Vedevo chili di cocaina sul tavolo che veniva distribuita sul mercato. Mentre continuavamo a drogarci: fui arrestato all’inizio del ’99 e portato a Poggioreale. Un inferno. Poi passai a Secondigliano, presi la terza media e poi arrivarono gli arresti domiciliari.
Perché decide di cambiare? Cosa è scattato?
“Dopo 10 anni di carcere la mia vita cambia. Mio fratello muore per droga e mi rendo conto che non potevo più essere quello di prima. Dal mio balcone, ai domiciliari, guardavo quei bambini giocare, i tossicodipendenti e decido che dovevo fare qualcosa per la società, per questi giovani. Avevo perso 12 amici per la droga. Tremila abitanti, 1200 bambini, in un territorio come il Parco Verde dove non c’era nulla. Metto su un’associazione con altre famiglie e inizio la mia opera civile nel 2008. Così iniziano le nostre battaglie contro la droga e per la riqualificazione del territorio. Ci autotassiamo per bonificare le zone, presentiamo denunce per la mancata manutenzione e pulizia del parco giochi, delle aiuole, dei campi da calcio. Questi luoghi erano invasi dalle siringhe e da altri tipi di rifiuti. Facciamo una raccolta fondi e grazie a Cannavaro e Ferrara, che sposano il nostro progetto nel 2010, riusciamo a recuperare molte cose. Riqualifichiamo il campo di calcio. Piano piano la mia vita cambia”.
Si può combattere la droga? La battaglia non è persa in partenza?
“La droga non si combatte se c’è uno Stato colluso e corrotto, deviato. Noi, a Napoli, non possiamo coltivare le piante e ricavarne droga, come del resto non si può fare in Italia: quindi arriva da altri Stati. E’ a monte che si deve intervenire. Per arrivare nel nostro Paese la droga attraversa molte frontiere e lo Stato deve controllare. Ma questo non accade. Grazie a un progetto europeo, con l’associazione facemmo un bonifica di una villa detta “o cantiere”, al centro di due piazze di spaccio. Qui i tossici andavano a drogarsi. Noi, invece, la ripuliamo e, personalmente, raccolgo 650 siringhe. Ma nessuno del Comune viene a ritirarle per smaltirle. Ho visto sotterrare migliaia di siringhe nell’area che collega Nola e Villa Literno: eppure, quelle terre sono ancora coltivate. Dopo un po’ un’azienda decide di bonificare quest’area, l’azienda ottiene una rimessa di camion in cambio della sua attività. Si realizza un muro di cemento alto due metri, nessuno vede però quel che fanno.
Cosa hai visto in quest’area?
“Ho fatto dei video: un camion è entrato in questa terra con una pala meccanica ed ha sotterratto migliaia di siringhe. Hanno livellato il terreno sul quale, poi, sorgerà la rimessa. Intorno ci sono pascoli e alberi di noci secolari, con i tronchi ricoperti dalle siringhe, come se fosse un tiro a segno”.
Hai recuperato dei ragazzi dalla droga?
“Recuperare i ragazzi dalla droga vuol dire dargli un’alternativa, un lavoro. Non ci vogliono i carabinieri e i poliziotti, bisognerebbe investire in quelle aree dove la disoccupazione è alta. Se tu arresti un ragazzo in quei posti, allo Stato gli costa 125 euro al giorno in carcere. Se lo Stato, invece, pensasse di investirli per creare un “lavoro” in quelle zone, le forze dell’ordine non avrebbero tanto da fare. Questa è la vera riforma: il lavoro. Caivano è anche Terra dei Fuochi. Bisogna fare la raccolta differenziata, noi paghiamo le navi ricolme di rifiuti che vanno in Germania e compriamo all’estero l’energia elettrica. Diamo via un bene che potremmo sfruttare. Il sistema è troppo corrotto e colluso, i fondi ci sono ma dove finiscono? La storia è sempre la stessa. Il sistema camorra sopravvive grazie allo Stato.
Perché hai deciso di rimanere? Non temi per la tua vita?
“Ho paura, ho denunciato allo Stato le cose che non vanno. Posso aiutare i giovani sul territorio ma lo Stato mi dovrebbe dare gli strumenti adeguati”.
Perché lo fai?
“Ho perso 12 amici, mio fratello. La colpa non è stata nostra. La morte di mio fratello mi ha indotto a combattere, a non mollare. Anche l’incontro con il Papa ha segnato la mia vita, ho cominciato comunque a credere in quello che faccio diversamente a quello che facevo prima. E’ l’amore e la speranza che mi aiutano ad andare avanti”.