Ecco il nuovo documento sull’acqua elaborata dalla task force di esperti internazionali Pandora:
L’acqua distribuita dagli acquedotti pubblici in Italia e in regione Campania è controllata per legge. Esistono, infatti, normative nazionali (Decreto Legislativo 31/01) e regionali (Decreto Dirigenziale 27/2005) che regolano il processo di controllo dell’acqua distribuita e che derivano da normative europee.
L’acqua distribuita per il consumo umano viene, dunque, controllata sulla base degli stessi limiti imposti in tutti gli altri paesi dell’Unione Europea e tali limiti legislativi ricalcano altre leggi internazionali di controllo dell’acqua, in quanto tutti i limiti previsti derivano da indicazioni dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità.
I controlli delle acque potabili, per legge, devono essere eseguiti dai laboratori degli acquedotti (controlli interni) e dalle Aziende Sanitarie Locali (A.S.L.) attraverso i laboratori dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale (A.R.P.A.) (controlli esterni), sull’intera “filiera” gestita dall’acquedotto: fonti (sorgenti, pozzi, fiumi, laghi), condotte, serbatoi e rete di distribuzione cittadina. Sull’acqua potabile, quindi, i controlli risultano incrociati (tra gestori e ASL), al fine di minimizzare i possibili errori. Le analisi effettuate dai gestori degli acquedotti per legge devono essere obbligatoriamente inviate alle A.S.L. di riferimento e da queste obbligatoriamente controllate.
La definizione del numero dei controlli da eseguire per legge viene effettuata sulla base dei quantitativi di acqua distribuita da ogni acquedotto, e tale numero deve essere comunicato ogni anno dai gestori delle reti idropotabili alle A.S.L.
In Regione Campania, dal 2005, vige, inoltre, un Decreto Dirigenziale (n. 27 del 16/02/2005) che integra, con ulteriori prescrizioni, la legge nazionale in materia di controllo dell’acqua distribuita per il consumo umano. Tale decreto, infatti, prevede che tutti i laboratori che effettuano i controlli sull’acqua (sia quelli dei gestori sia quelli degli enti pubblici di controllo) operino in conformità alla norma internazionale ISO/IEC 17025 a garanzia della qualità delle analisi effettuate.
I controlli previsti certificano, con controlli a campione, la qualità dell’acqua distribuita dagli acquedotti fino al punto di consegna pubblico, ovvero fino all’allacciamento alla rete idrica privata degli edifici.
Inoltre, sia la legge italiana che il suddetto decreto della Regione Campania prevedono che ai rubinetti dei singoli edifici debbano essere effettuati controlli a cura dei gestori degli stessi (direttori sanitari per gli ospedali, presidi per le scuole, amministratori di condominio per gli edifici condominiali, ecc.). I parametri da analizzare sono quelli riportati nella legge nazionale (Decreto Legislativo 31/01) e riguardano potenziali inquinanti chimici e biologici.
I laboratori degli enti gestori sono obbligati a fornire all’utenza i risultati dei principali parametri di qualità dell’acqua, come previsto dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29/04/99 e ora anche dall’Autorità per l’energia elettrica, per il gas e per il servizio idrico.
Naturalmente suggeriamo alle autorità competenti di verificare che l’ente gestore dell’acquedotto di ogni comune rispetti il d. lgs. 31/01 e renda pubblici i dati alla cittadinanza servita, come previsto dalla normativa.
E’ importante, inoltre, distinguere tra “acqua di falda” e acqua fornita dalle reti idriche di distribuzione: l’acqua di falda (superficiale o sotterranea), prima di essere utilizzata dagli acquedotti, viene controllata e, se necessario, viene trattata per renderla chimicamente e batteriologicamente sicura.
E’ bene chiarire che il rischio di contaminazione accidentale delle reti idriche di adduzione e distribuzione, in condizioni di corretto funzionamento, è piuttosto basso in quanto esse sono sistemi in pressione (a volte molto elevate) per cui non è fisicamente possibile che altre sostanze penetrino all’interno. Tuttavia il rischio di contaminazione è più alto in particolari situazioni, per esempio nei mesi estivi, quando le pressioni interne sono molto ridotte (in conseguenza di picchi di consumo o di forte carenza idrica); in questi casi (che si verificano solo per un cattivo funzionamento delle reti idriche e in genere, comunque, risultano temporalmente limitati) il gestore del servizio idrico di distribuzione deve provvedere ad un monitoraggio più frequente ed accurato della qualità dell’acqua potabile.
Le notizie circolate negli ultimi mesi a mezzo stampa, sull’acqua potabile distribuita in regione Campania, sono, pertanto, da considerarsi quantomeno fuorvianti. Le stesse si baserebbero essenzialmente su quanto rilevato da un rapporto redatto dalla US Navy (la marina militare degli Stati Uniti) negli anni 2008-2011, composto da 3 volumi – per un totale di circa 5000 pagine, completato nel 2012 [1].
Le valutazioni finali del rapporto US Navy si riferiscono non ai “limiti di legge” americani o europei bensì a “limiti di rischio” arbitrari che la marina militare americana applica qualora si presentino i seguenti casi [2]:
1) l’acqua è già contaminata;
2) non ci sono infrastrutture adeguate per la fornitura di acqua potabile;
3) non vengono condotti controlli di routine sull’acqua;
4) non vi è protezione adeguata dei pozzi;
5) le leggi del luogo non vengono osservate scrupolosamente e non vengono messe in atto opportune azioni correttive;
6) fattori ambientali multipli (aria, acqua, suolo) rappresentano dei pericoli potenziali per la contaminazione.
In presenza di tali condizioni, per preservare la salute dei propri connazionali impegnati in missioni militari, si provvede a diffondere suggerimenti di tutela e/o alla depurazione delle acque per uso potabile utilizzando tali “limiti di rischio” molto più cautelativi di quelli della normativa americana ed europea.
In base alle informazioni disponibili è possibile affermare che, per tutte le reti di distribuzione di acqua potabile gestite nel rispetto del d. lgs. 31/01, non si può rilevare alcuno dei 6 casi eccezionali previsti dalla marina militare americana e, dunque, non vi è alcuna ragione per applicare “limiti di rischio” inferiori ai limiti di legge sanciti dall’Unione Europea, dall’Italia e dagli Stati Uniti.
Gli unici valori fuori legge (sia americana che italiana), trovati prima del 2012 dalla US Navy , sono relativi ad acqua derivante da pozzi non autorizzati che approvvigionavano abitazioni abusive: su questo punto chiediamo un’immediata verifica e controllo e, soprattutto, informazione sul territorio da parte delle istituzioni preposte per tutelare chi eventualmente vive in tali abitazioni che utilizzano acqua approvvigionata abusivamente. In questi casi, dunque, trattandosi di situazioni eccezionali al di fuori della regolare distribuzione di acqua potabile, non sono applicabili le metodologie che garantiscono la qualità della distribuzione dell’acqua idropotabile in Campania e devono ritenersi come circostanze di evidente violazione della normativa vigente.
Infine lo stesso rapporto US Navy è molto prudente nel trarre conclusioni, puntualizzando infatti che i dati rilevati e riportati nel documento non consentono di trarre conclusioni generalizzabili alle aree di studio (anche perché spesso la marina militare, come riportato nel documento US NAVY, ha effettuato prelievi di singoli campioni, privi quindi di rilevanza statistica, a fronte di migliaia di analisi effettuate dai gestori e dalle A.S.L. regionali competenti).
Infine, è doveroso fare un cenno anche alla questione delle tubazioni, di adduzione e/o distribuzione, e dei serbatoi costituiti da materiali obsoleti come, per esempio, quelle in cemento-amianto, ancora presenti nei sistemi acquedottistici italiani, compresa la Campania. Il principale riferimento internazionale in materia di pericolosità delle fibre di amianto nell’acqua potabile è costituito dalle linee guida sulla qualità per l’acqua potabile dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) [3].
In tale documento viene esplicitamente riportato che non sono stati stabiliti valori guida per il controllo di amianto in acqua potabile in quanto non ci sono “evidenze significative che l’ingestione di amianto sia un fattore di rischio per la salute umana”. Il documento riporta, comunque, che eventualmente solo un’acqua particolarmente “aggressiva” potrebbe portare all’esfoliazione di fibre di amianto da tubazioni costituite da materiali che le contengono. Riguardo a tale ultima indicazione va evidenziato che l’acqua che scorre nelle condotte della Campania non ha caratteristiche chimiche di “aggressività” ma che, piuttosto, l’elevato calcare in essa contenuto garantisce all’acqua caratteristiche esattamente opposte, tutelando semmai maggiormente da un’eventuale esposizione a tale ultima tipologia di rischio. La quantità inoltre di condotte in amianto presente in Campania per il trasporto di acqua potabile è piuttosto limitata.
Inoltre l’attuale legge vigente in Italia in materia (Decreto Ministeriale 14/05/1996) riporta esplicitamente che “non esiste alcuna prova che l’ingestione di amianto sia pericolosa per la salute…” e, dunque, non sono stati obbligati i gestori degli acquedotti alla rimozione delle condotte/serbatoi in amianto e non è stata definita alcuna specifica analisi da condurre per la ricerca di fibre di amianto in acqua potabile.
Alla luce di tali considerazioni è opportuno sottolineare dunque che, la rimozione e/o sostituzione di eventuali condotte/manufatti di trasporto o accumulo di acqua potabile, andrebbe effettuata in seguito ad un’attenta analisi di rischio, in quanto tali azioni potrebbero comportare il rilascio in aria di fibre di amianto, conseguenza questa certamente pericolosa se non adeguatamente gestita. Una tale decisione dovrebbe quindi essere presa con la dovuta cautela ed anche in considerazione del rapporto costi/benefici che si intende perseguire.
Ricordiamo peraltro che gli studi sull’argomento sono ancora in corso con riferimento, per esempio, alla possibilità di fibre di amianto residue all’evaporazione dell’acqua per usi domestici e, pertanto, è opportuno che le organizzazioni sanitarie (italiane e non solo) approfondiscano la questione e monitorino gli sviluppi della ricerca.
Per completezza di informazione è opportuno ricordare che, sin dal 1991, il Safe Water Drinking Committee della National Academy of Sciences ha stimato, basandosi su studi tossicologici in-vivo, un rischio di tumore gastro-intestinale, per acque contenenti 7 milioni di fibre per litro, pari a 1 caso ogni centomila abitanti; di conseguenza l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente USA (EPA) ha stabilito un limite massimo di contaminazione da fibre di amianto (pari a 7 milioni di fibre/litro).
Riteniamo dunque infondato l’allarmismo, alimentato da taluni organi di stampa, che ha generato una costante preoccupazione anche sull’acqua potabile distribuita dagli acquedotti, che contribuisce a far crescere la sfiducia della popolazione verso l’utilizzo dell’acqua di rubinetto.
E’ opportuno però che i cittadini siano vigili affinché tutti i responsabili della qualità dell’acqua potabile, dalla rete pubblica (gestori, A.S.L., etc.) ai rubinetti domestici (amministratori di condominio, responsabili di ospedali, scuole, caserme, etc.), eseguano i controlli e rendano pubblici i risultati [4].
Riferimenti:
[1] disponibile integralmente sul sito US Navy: http://www.cnic.navy.mil/regions/cnreurafswa/installations/nsa_naples/about/health_awareness.html)
[2] disponibile integralmente sul sito US Navy: http://www.cnic.navy.mil/content/dam/cnic/cnreurafswa/Naval%20Support%20Activity%20Naples/PDFs/Health-Awareness/Fact-Sheets/Water%20Contamination%20fact%20sheet%20FINAL%206.2.11-HIGH%20RES.pdf.
[3] l’ultima elaborazione disponibile di tale documento è la 4° emissione del 2011:
http://www.who.int/water_sanitation_health/publications/2011/dwq_guidelines/en/index.html.
[4] Per chi interessato è possibile acquisire i risultati delle ultime analisi effettuate presso vari enti (ad esempio al seguente indirizzo: http://www.abc.napoli.it/)