La Commissione europea vuole «chiarimenti» dall’Italia sulla Tav. Ma non tanto sulla metodologia utilizzata nell’analisi costi-benefici: la stessa cornmissaria Violeta Bulc ha definito la relazione «non necessaria». Nell’incontro programmato per oggi, i funzionari Ue faranno un paio di domande molto «politiche» ai tecnici del ministero dei Trasporti. Interrogativi che poco hanno a che fare con gli aspetti tecnici della relazione prodotta dal team coordinato da Marco Ponti. L’Italia vuole andare avanti con l’opera oppure no? Quando sarà presa la decisione del governo? In base alle risposte si apriranno due scenari. Il primo: si va avanti con l’opera, ma bisognerà riscrivere il «Grant agreement», l’accordo di finanziamento firmato nel 2015. Nel documento sono infatti elencate una serie di scadenze (al più tardi al 31 dicembre 2019) che certamente non saranno rispettate. Secondo scenario: il progetto viene archiviato definitivamente e si apre il confronto sui soldi da restituire, sulle penali da versare e sulle ulteriori conseguenze che non sono state quantificate in termini economici nella relazione tecnico-giuridica, ma che sono incluse nell’accordo di finanziamento. L’Italia rischia infatti di essere esclusa per i prossimi cinque anni da tutti i programmi finanziati con i fondi Ue. È scritto nero su bianco a pagina 45 del «Grant agreement». Sulle colonne del Sole 24 Ore Ennio Cascetta spiega che il rapporto del Mit sulla analisi benefici costi della linea Torino-Lione, contiene diversi aspetti non condivisibili che ne inficiano le conclusioni e le eventuali decisioni su di esse basate. Si considerano come costi non solo quelli di investimento e di gestione dei servizi ferroviari ma anche, e soprattutto, i mancati introiti delle accise sul carburante per la riduzione dei tir e delle auto e quelli dei gestori autostradali. Nello scenario di maggiore traffico (irrealistico per lo studio) questi “costi” valgono rispettivamente 6,1 e 7,9 miliardi con un risultato economico («Van») negativo dell’intero investimento di circa 7.8 miliardi. Nello scenario ritenuto più realistico dallo studio, si dimezza il traffico ferroviario, i mancati ricavi dalle accise si riducono a soli 1,6 miliardi e mancati introiti dei gestori autostradali a 2,9 miliardi con un «Van» ancora negativo di circa 7 miliardi. Insomma le cose vanno meglio (o meno peggio) e si “risparmiano” 800 milioni se la ferrovia trasporta meno merci e meno passeggeri”