Antonio Troise
Si perde il pelo ma non il vizio. La tentazione dei partiti di fare cassa sulla pelle dei proprietari di immobili continua ad essere molto forte. Un po’ perché bisogna individuare coperture adeguate alle promesse che si continuano ad accumulare sul fronte della campagna elettorale. Un po’ perché il mattone, è da sempre, l’oggetto del desiderio del nostro sistema fiscale. Sicuramente il più tartassato. Così, a sinistra, soprattutto fra i transfughi dell’ex Pd, l’idea di tornare a tassare la prima casa comincia a prendere sempre più piede. L’uscita del leader maximo, D’Alema, in diretta tv, sull’Imu non è affatto isolata. E sono in molti, nell’Mpd, a ritenere che una famiglia che può disporre fra i 3.500 e i 4.000 euro al mese può tranquillamente pagare l’imposta. Anche se la casa di proprietà è quella dove vive. A cominciare da Pier Luigi Bersani che non ha mai rinunciato all’idea di chiedere un contributo a chi ha un portafoglio immobiliare superiore a un milione e mezzo di euro. Una campagna che sicuramente potrebbe raccogliere consensi nel tradizionale nocciolo duro della sinistra. Ma darebbe il colpo di grazia al mercato immobiliare che dopo la ripresa del 2016 (+16%), ha rallentato il ritmo facendo segnare per quest’anno, spiega Nomisma, una crescita delle compravendite tre volte più bassa (5%) con prezzi sostanzialmente invariati.
L’Mpd, comunque, non è affatto solo nella sua “crociata” contro i patrimoni immobiliari, soprattutto quelli più ricchi. La Cgil di Susanna Camusso è da tempo schierata a favore di un’imposta progressiva sui grandi patrimoni, a partire da quelli che superano complessivamente i 350mila euro. Fino ad arrivare ad un’addizionale secca dell’1% su chi dispone di una dote di 800mila euro, con una franchigia pari a mille euro. Obiettivo, portare nelle casse dello Stato i miliardi che servono per ridurre l’età pensionabile. Un’operazione teorizzata dal centro studi Nens, tradizionale pensatoio della sinistra che fa capo all’ex ministro delle Finanze, Vincenzo Visco. Per la verità, nessuno degli esperti ha mai azzardato una soglia precisa. Ma la direzione resta quella: tornare a tassare la prima casa. Ipotesi che, naturalmente, è vista con grande favore anche da Sl. Del resto un’indicazione in tal senso era arrivata, nei mesi scorsi, anche dall’Unione Europea ed era stata respinta al mittente dal governo Gentiloni e dall’ex premier, Renzi. Oltre che dal Centrodestra.
Più defilati, ma non del tutto, gli esponenti del M5S. In passato, per finanziare il loro cavallo di battaglia elettorale, il reddito minimo di cittadinanza, avevano messo sul tappeto anche l’ipotesi di una patrimoniale. Sparita, però, dalle ultime versioni dei programmi elettorali. Non è detto però che, in caso di necessità, non possa essere rispolverata. Soprattutto nel caso in cui ci fosse bisogno di trovare coperture credibili anche in sede europea.
Ma i sostenitori di una nuova “stangata” sui patrimoni immobiliari non mancano nemmeno sul versante più liberal. Mario Monti, dopo aver di fatto tartassato i proprietari durante il suo governo, non ha mai nascosto la sua irritazione per la decisione del governo Renzi di esonerare dall’Imu tutte le prime case, indipendentemente dal reddito. E agli atti parlamentari c’è addirittura un disegno di legge, il 4623, che teoricamente potrebbe ancora essere esaminato e che parla, senza peli sulla lingua, di una tassa sui grandi patrimoni immobiliari. È firmato dal deputato Roberto Capelli, di Democrazia solidale – Centro democratico, il gruppo di Bruno Tabacci. Il segno che l’idea di tornare a battere cassa con il mattone è, tutto sommato, abbastanza trasversale.