Sembra esserci tregua sul commissario dell’Ilva, Enrico Bondi, dopo la decisione di quest’ultimo di revocare il mandato ai due avvocati che avrebbero dovuto difendere l’azienda davanti al Tar di Lecce il prossimo 5 giugno nel giudizio contro ministero dell’Ambiente, Regione Puglia, Arpa Puglia e Comuni di Taranto e Statte (Taranto). La situazione complessiva dell’Ilva, soprattutto dal lato finanziario, resta pero’ molto critica. In proposito, si attendono le mosse del Governo chiamato anche a decidere, nei prossimi giorni, se prorogare o meno il mandato a Bondi che giunge alla prima scadenza ad un anno dal conferimento (decreto legge del 4 giugno 2013).
Circa il processo al Tar, investito dalle polemiche – col presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, che ha scritto al premier Matteo Renzi – Bondi ha infatti dato disposizioni per togliere il mandato agli avvocati Francesco Perli e Roberto Marra che avevano gestito la causa amministrativa sin dal suo inizio, nel 2009, su incarico della famiglia Riva, proprietaria dell’Ilva. Il commissario ha inoltre deciso di non riconoscere la memoria difensiva predisposta dai due legali revocati. A quanto si apprende, i due avrebbero scritto il testo non concordandolo con la gestione commissariale dell’Ilva, ne’ l’avrebbero inviato per conoscenza prima del deposito al Tribunale amministrativo. Oggetto del ricorso, le procedure e le metodologie da seguire per la bonifica dall’inquinamento delle aree dell’Ilva.
L’Ilva aveva promosso il giudizio prima dell’insediamento dei commissari che hanno quindi “ereditato” il contenzioso. Le pesanti accuse dei due avvocati verso Regione Puglia e Arpa Puglia – contenute nell’atto per l’udienza del 5 giugno -, ma anche il fatto che uno dei due legali, Perli, e’ coinvolto nel processo Ilva con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, hanno provocato la reazione di Vendola che giovedi’ scorso ha chiesto l’intervento di Renzi nei confronti di Bondi, essendo questi un commissario nominato dal Governo. Pagati lunedi’ scorso gli stipendi agli 11mila dipendenti diretti dell’Ilva di Taranto, restano pericolosamente in bilico le imprese appaltatrici e dell’indotto Ilva che da quest’ultima non si vedono pagate le fatture da circa 4 mesi.
“Ieri – dichiara Vincenzo Cesareo, presidente di Confindustria Taranto – ho prospettato la situazione al prefetto di Taranto che mi ha assicurato che nella settimana che si apre vedra’ di convocare un incontro con le banche. Attendiamo segnali concreti nei prossimi giorni, altrimenti sara’ inevitabile la manifestazione di protesta del mondo delle imprese che abbiamo annunciato nella conferenza stampa di venerdi’. La protesta di piazza non e’ propriamente nelle corde di Confindustria, ma qui ormai siamo ad un passo dal baratro. La situazione e’ gravissima”.
I numeri forniti da Cesareo venerdi’ scorso parlano infatti di un centinaio di imprese coinvolte dalla “bufera” Ilva per circa 6mila dipendenti. “Soffrono – afferma il presidente di Confindustria Taranto – sia l’appalto che l’indotto. L’appalto in quanto vive di commesse Ilva e queste, com’e’ noto, non gli vengono pagate da almeno quattro mesi; l’indotto, perche’ pur avendo negli anni diversificato, pur avendo cercato nuovi mercati e nuovi sbocchi, ha comunque una quota di lavoro, diversa da azienda ad azienda, nell’Ilva. E ovviamente – rileva ancora Cesareo – se questa quota salta, se questa quota, pur fatturata, non viene pagata, rischia di far fallire anche gli sforzi che queste imprese hanno fatto nella diversificazione e nella conquista di spazi alternativi”. Da fonti Ilva intanto si apprende che nella settimana che sta per cominciare potrebbero non esserci novita’. La famiglia Riva, secondo quanto detto dal commissario Enrico Bondi ai sindacati giovedi’ scorso, dovrebbe dire entro il 23 maggio se partecipa o meno all’aumento di capitale proposto loro sulla base del piano industriale, ma e’ anche probabile che la risposta arrivi qualche giorno dopo questa data. Le stesse fonti Ilva, invece, attendono per la settimana post elezioni europee novita’ sul fronte finanziario.
Negli ultimi giorni, infatti, specie dopo l’incontro tra Bondi e i sindacati metalmeccanici, si e’ intensificato il pressing sul Governo perche’ agevoli una soluzione per l’Ilva. Che potrebbe essere o la concessione di un finanziamento ponte da parte delle banche – servirebbero 7-800 milioni dicono i sindacati – oppure l’utilizzo immediato dei soldi che la Magistratura di Milano ha sequestrato nei mesi scorsi ai Riva per reati fiscali e valutari (1,7 miliardi di cui 800 milioni, secondo il sub commissario Edo Ronchi, sono risorse accertate). Entrambe le soluzioni, pero’, presentano delle difficolta’. Sul finanziamento ponte, infatti, le banche prima di pronunciarsi vogliono vedere se l’azionista dell’Ilva, i Riva appunto, sottoscrivono o meno l’aumento di capitale. Mentre per l’utilizzo immediato dei soldi sequestrati, occorrerebbe modificare la legge n. 6 dello scorso febbraio (Terra dei Fuochi-Ilva) che, a proposito dell’aumento di capitale, prevede si’ lo svincolo da parte dell’autorita’ giudiziaria su richiesta di Bondi ma lo pone come terza soluzione dopo l’intervento degli azionisti e il ricorso a investitori terzi. (AGI)