La recessione da Covid-19 si è abbattuta su un’economia nazionale collocata fin dall’inizio del
nuovo millennio su un sentiero di progressivo allontanamento dalle più dinamiche economie europee
mature ed emergenti e che nel 2019 non aveva ancora completato, unico caso tra le grandi economie
europee, il suo percorso di recupero dalla lunga crisi 2008-2014.
Venti anni nel corso dei quali l’Italia ha perso terreno dall’Europa per effetto dei tassi di crescita
dimezzati rispetto alla media europea caratteristici del primo settennio pre-2008, di una più profonda e
prolungata recessione seguita alla crisi finanziaria, e di una ripresa stentata e a ritmi decrescenti nel triennio
2015-18 che ha avuto per epilogo la stagnazione del 2019. Il consuntivo impietoso del “ventennio
perduto” italiano è certificato dai 3,6 punti di Pil che il paese doveva ancora recuperare nel 2019 rispetto
ai livelli pre-2008, in netta contro tendenza rispetto al +12% della media europea.
Il ritardo accumulato dal paese in Europa è proceduto di pari passo alla divaricazione dei nostri
divari regionali, con il Pil del Mezzogiorno ancora sotto di oltre 10 punti rispetto al 2008, e il CentroNord “spaccato” tra un Nord locomotiva ormai stanca (Nord-Est +0,5%: Nord-Ovest -0.3% rispetto al
2008) e un Centro sempre “secondo Mezzogiorno” (-6% rispetto al 2008). L’amplificazione di questi
divari regionali riflette l’acuirsi di vere e proprie emergenze produttive e sociali che si manifestano ad
intensità variabile tra territori.
È in questo problematico scenario di medio termine che va collocato l’impatto economico e sociale
della crisi sanitaria nel 2020 che ha riportato alla luce la questione “nazionale” della coesione economica
e sociale cresciuta nel declino italiano. Lo shock da Covid-19 ha colpito un paese già malato di crescita e
attraversato da divari di genere e generazionali esplosi con la pandemia ma ben presenti nell’era preCovid. Perciò nella “ripartenza” non basterà porre le condizioni per il superamento delle perdite di
prodotto e occupazione causate dallo shock da Covid-19, perché vorrebbe dire tornare ad una
“normalità” del tutto insoddisfacente. Vanno aggrediti i molti nodi strutturali irrisolti che bloccano la
crescita nazionale da un ventennio e inaspriscono disuguaglianze territoriali che altro non sono che lo
specchio di divari sociali già in crescita in tutto il Paese prima della pandemia.
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Se le previsioni per il 2021-2022, come vedremo, lasciano intravedere un “rimbalzo” del Pil che
consentirà un sostanziale recupero dei livelli di attività pre-Covid del paese, due elementi vanno tenuti in
debito conto dalle politiche chiamate a gestire la transizione post-Covid.
Innanzitutto, come già sperimentato nella precedente crisi, il Mezzogiorno sarà meno reattivo
anche in questo biennio di ripresa, accumulando un nuovo ritardo. In secondo luogo, rimarginate le ferite
inferte dal Covid, sarà essenziale il ritorno nella politica nazionale della piena consapevolezza che i due
obiettivi della crescita nazionale e della coesione economica, sociale e territoriale non possono più
viaggiare su binari paralleli. Riforme e piani di investimento pubblico della politica ordinaria, del Piano
Nazionale di Ripresa e Resilienza e del nuovo ciclo di programmazione 21-27 della politica di coesione
nazionale ed europea devono essere orientate, organicamente, a far convergere quei due obiettivi sul
binario unico della crescita guidata dalla riduzione dei divari.
In continuità con il 2020, il Rapporto SVIMEZ 2021 conserverà una struttura orientata alla
valutazione, in una prospettiva territoriale, delle ricadute economiche e sociali della Pandemia. Resteranno
centrali nelle analisi e per le proposte della SVIMEZ i temi della nuova dimensione sociale che ha assunto
la questione meridionale sotto forma di limitati diritti di cittadinanza, soprattutto in sanità ed istruzione;
della mutevole geografia dei divari territoriali italiani, uscita ancor più scompaginata dallo shock da Covid19; del processo di rigenerazione che dovrà necessariamente riguardare la Pubblica Amministrazione a
tutti i livelli di governo investendo sul ricambio generazionale e favorendo l’inserimento di nuove
competenze; del rinnovato bisogno di una politica industriale unitaria capace di accompagnare il tessuto
produttivo nella transizione verso l’adozione di nuovi processi produttivi in chiave di sostenibilità
ambientale.
Sul fronte delle politiche, il 2021 potrebbe segnare una svolta dopo decenni di separazione, e per
molti versi di “conflitto”, tra politica ordinaria e politica di coesione. La coesione territoriale, infatti, per
stesso mandato europeo, è “entrata” tra gli obiettivi da perseguire esplicitamente con la politica ordinaria.
E le priorità della politica di coesione per la quale di avvia il nuovo ciclo di programmazione 2021-2027
sono del tutto coerenti con quelle di Next Generation EU. È questa una complementarietà sulla quale è
necessario costruire un approccio unitario che valorizzi le sinergie tra le due leve, portando a sistema il
rilancio degli investimenti pubblici e privati che si prevede di sostenere con il PNRR con una politica
ordinaria che troppo a lungo si è disimpegnata dal suo compito di perseguire l’obiettivo del riequilibrio
territoriale, e con una politica di coesione europea e nazionale che nel nuovo ciclo di programmazione
molto dovrà apprendere dai suoi limiti