Politica interna

Voto, il nodo dell’astensione. È arrivato il giorno del voto. Oggi seggi aperti dalle 7 alle 23 per eleggere il nuovo Parlamento.  Si vota anche per scegliere i presidenti di due regioni: Lombardia e Lazio. Sulle elezioni c’è l’incognita astensionismo. Gli italiani chiamati alle urne sono 46 milioni 604.925 ma molti di loro — forse più di 1 su 4, è il timore dei leader di tutti i partiti — resteranno a casa. II progressivo allontanamento dal voto è iniziato nel 1979 e non si è mai arrestato. Quest’anno, il dato sull’affluenza sarà particolarmente importante perché per la prima volta nella storia della Repubblica gli italiani al voto potrebbero scendere sotto la percentuale del 70%. Un dato «psicologico», ma anche politico, perché certificherà l’allargamento della frattura tra gli italiani e la politica e sarà un giudizio inappellabile sulla qualità della campagna elettorale appena conclusa.

La nuova scommessa del M5S. Che cosa vogliono davvero Di Maio e i Cinque Stelle? O meglio: quale ipotesi politica – e di governo – è realmente percorribile da un Movimento che non ha mai fatto alleanze? Bisognerebbe rispondere a queste domande per capire qual è – in questo voto – la posta in palio per gli uomini di Grillo e per il loro «capo politico». La condanna dell’Italia è sempre la stessa: il Paese vive una permanente instabilità. Senza dubbio non siamo più un’eccezione in Europa. Ma c’è un elemento distorsivo in più: quello del M5S. Che non riesce uscire dal suo ruolo. Quello prestabilito da Beppe Grillo. L’ex comico ha bloccato di nuovo ieri ogni tentativo di istituzionalizzare il Movimento. L’ideologia distruttiva Grillina si associa così alla sovrapposizione tra partiti deboli e legge elettorale funesta. Intanto, dal centro renziano, procedendo per cerchi concentrici, continuano ad arrivare segnali di freddezza verso l’uomo che il leader Pd scelse per il Colle a costo di rompere il patto con Berlusconi. L’ultima frattura  è maturata sulla questione della presunta apertura di Mattarella ai grillini, culminata nella visita di Luigi Di Maio al Colle.

Economia e finanza

Dazi, l’auto Ue nel mirino di Trump. Ha iniziato Donald Trump. Imponendo dazi su lavatrici e pannelli fotovoltaici. E promettendone altri su acciaio e alluminio europei. La Ue ha a sua volta ventilato dazi su whisky, moto e jeans americani. Sono passate meno di 24 ore e già la Casa Bianca ha rilanciato: «Se la Ue vuole aumentare le già massicce tarife e barriere commerciali contro le imprese americane, noi applicheremo una tassa sulle automobili che si riversano liberamente negli Usa». E ancora: «Gli Stati Uniti hanno 800 miliardi di dollari l’anno di deficit commerciale a causa dei nostri stupidi accordi e delle nostre stupide politiche.I nostri posti di lavoroelanostraricchezzavannoa finire in Paesi che si sono approfittati di noi per anni. Loro ridono di quanto sciocchi sono stati i nostri leader. Mai più!». Dimenticati i toni soft di Davos, il presidente riveste i panni da mercantilista, in un attacco a tutto campo. Secondo l’Fmi, i dazi di Trump si ritorcerebbero anche contro l’economia Usa. Di certo auto Fca come Giulia, Stelvio, 50o X e Renegade sono prodotte in Europa e quindi potrebbero essere soggette a eventuali dazi.

Debito record. Lo Stato da trent’anni spende meno di quanto incassa. Però gli interessi sul deficit accumulato da una classe politica incompetente si sono mangiati tutto. Fin dal giorno della nascita ogni italiano riceve in dono 40 mila euro di debito. Un macigno che lo accompagnerà lungo tutta la sua esistenza. Non è certo una novità, anche se nel corso della campagna elettorale si sono spese poche parole sulle possibili terapie. Prendete il nostro debito pubblico, convertitelo in monete da un euro e provate a metterle una sull’altra. L’eventuale «pila» che si formerebbe sarebbe alta più di 5,25 milioni di chilometri e potrebbe quindi coprire quasi 14 volte la distanza tra la Terra e la Luna. Il nostro, insomma, è un vero e proprio debito stellare. Nel corso del 2017 è cresciuto al ritmo di 68.700 euro al minuto e a fine 2017 si è assestato a 2.256. Ed ovviamente continua a salire: stando al contatore dell’Istituto Bruno Leoni, che nelle scorse settimane ha piazzato alcuni grandi display nelle stazioni di Roma e Milano, questa mattina alle 7 quando apriranno tutti i seggi elettorali, saremo già arrivati a quota 2.297.286.000.000 di euro.

Politica estera

Referendum tedesco. E’ il giorno più lungo della Spd, ma anche della Germania e dell’Europa. Già stamane sapremo se i 460 mila militanti socialdemocratici hanno votato in maggioranza a favore della Grosse Koalition con la Cdu-Csu, dando via libera a un governo stabile sotto la guida di Angela Merkel a quasi sei mesi dalle elezioni. Per quanto improbabile una bocciatura aprirebbe una fase di incertezza e instabilità politica inedita. Una vittoria del no avrebbe conseguenze devastanti: l’intero gruppo dirigente, appena ridisegnato intorno alle figure di Andrea Nahles e Olaf Scholz, sarebbe completamente delegittimato. Se gli iscritti Spd confermeranno invece l’accordo di Grande Coalizione ripartirà anche il processo di riforma dell’Eurozona. Un meccanismo che prevede innanzitutto il completamento dell’Unione bancaria attraverso un’assicurazione comune sui depositi e poi la nascita di un Fondo monetario europeo in grado di assorbire e prevenire meglio gli shock macroeconomici.

Brexit.  Theresa May ha deluso tutti. Si lagnano i brexiters, si lamentano i remainers lungo le linee dell’inevitabile copione che punisce chi aspira a un cerchiobottismo estremo per mediare fra quanto resta fondamentalmente alternativo. In realtà la signora premier nel discorso di venerdì ha teso la mano a tutti, elencando cinque condizioni per una Brexit che immagina buona per ogni palato se saprà rispettare l’esito del referendum, proteggere il lavoro, unire un Paese diviso, garantire uno sguardo verso il futuro senza regredire nel passato, essere durevole nel tempo. Senza cedere a forme di protezionismo. Perché tutto ciò possa accadere – insiste Downing street – il modello norvegese (adesione all’Efta) non può funzionare, quello canadese non basta. La Brexit, intanto, entra per la prima volta fra i fattori di rischio per le banche europee nell’analisi di un organismo ufficiale dell’Unione. Nel predisporre gli stress test 2018, che entrano nel vivo questa settimana, l’European Banking Authority, che ha sede proprio a Londra inserisce l’uscita della Gran Bretagna fra gli elementi in grado di abbattere l’economia europea, di fronte ai quali le banche devono avere capacità di reazione sufficiente per evitare un intervento pubblico in loro soccorso.