Politica interna
Vaccini, ritorna l’obbligo. II monito del presidente della Repubblica arriva poche ore dopo l’inversione di marcia del governo sui vaccini. «Nei confronti della scienza non possiamo esprimere indifferenza, o diffidenza verso le sue affermazioni e i suoi risultati» scandisce Sergio Mattarella nel tardo pomeriggio di ieri, mentre il mondo politico registra e commenta l’ultima svolta del M5S nella direzione della responsabilità. Niente più colpo di spugna sull’obbligo per i bambini da zero a sei anni, chi non è vaccinato non potrà entrare al nido o alla materna. Dopo settimane di caos e alla vigilia dell’inizio delle scuole, tutto dovrebbe tornare nei limiti stabiliti dal decreto Lorenzin. Sull’onda lunga di critiche e polemiche furibonde e grazie alla spinta dei presidi, delle Regioni, dei sindaci, delle mamme dei piccoli immuno depressi che hanno lanciato la campagna Io Vaccino e degli esperti ascoltati in audizione dalla commissione Affari costituzionali di Montecitorio, la ministra della Salute Giulia Grillo ha maturato la svolta: affrontare il delicatissimo tema delle politiche di prevenzione con una legge ad hoc e con l’Anagrafe vaccinale e non più con il Milleproroghe. La maggioranza è dunque al lavoro per concertare un emendamento che abroghi, dal decreto approvato ad agosto, il comma che rende non più obbligatori i vaccini per i bambini di asili e materne. Positivi i commenti del mondo scientifico e scolastico. I presidi accolgono con soddisfazione e sollievo la «grande vittoria di civiltà». L’immunologo Roberto Burioni, che ha subìto attacchi per la determinazione con cui difende il divieto di entrare in classe per i bimbi non vaccinati, si dice «felice che la ragione abbia prevalso». Per i partiti che si oppongono alla maggioranza di governo è un clamoroso ribaltone, che sconfessa la storica contrarietà dei 5 Stelle all’obbligatorietà dei vaccini. Il Pd esulta. Il capo- gruppo Graziano Delrio festeggia «la vittoria della scienza e della ragione» e il segretario Maurizio Martina afferma che «è stato battuto l’oscurantismo». Massimo Franco sottolinea in un editoriale sul Corriere della Sera che “il ripensamento, anzi i ripensamenti, non possono non essere apprezzati. Ma va aggiunto che destano preoccupazione. Una maggioranza di governo che da un giorno all’altro accetta la vaccinazione obbligatoria a scuola, dopo averla messa in discussione per mesi, lascia sconcertati. Porta a chiedersi perché si sia perso tempo e fatto confusione, dando l’idea di un’Italia imbarbarita. Cambiare idea può essere una dimostrazione di intelligenza, non solo di debolezza. Il problema è se si cambia troppo spesso, oscillando tra una tesi e il suo contrario senza spiegarlo”.
Corruzione, Salvini frena “No ai processi sommari”. Una telefonata Bonafede-Bongiorno, alle otto di sera, spazza via il cicaleccio politico della giornata su un dissenso leghista nei confronti del ddl anticorruzione targato M5S. Un sostanziale via libera sull’impianto, quella del ministro della Pubblica amministrazione Giulia Bongiorno, la testa giuridica del leader leghista Matteo Salvini. Anche se restano, come Bongiorno dettaglia al Guardasigilli Alfonso Bonafede, rifiniture e correzioni ai sei articoli del ddl che ci sarà tempo di fare già a partire da oggi alle 16, quando lo”spazzacorrotti” approderà in Consiglio dei ministri. Per avviarsi subito dopo verso la Camera, nella commissione Giustizia presieduta dalla grillina Giulia Sarti. Un contraltare rispetto alla legittima difesa, che è al Senato, dove il presidente della commissione è il leghista Andrea Ostellari. Provvedimento caro a Salvini, alla pari del futuro decreto sicurezza che conterrà misure dure contro la mafia. Ma sono proprio le parole di Salvini, di buon mattino, che sembrano suonare come una critica allo “spazzacorrotti”. Quando il ministro dell’Interno dice che «bisogna stare attenti al fatto che, sino a prova contraria, sino al terzo grado di giudizio, gli italiani sono innocenti, i processi sommari non possono essere svolti in un Paese civile». I leghisti hanno messo al lavoro gli esperti di diritto. S’intuisce un lavoro di cesello sui testi. E anche se dalle parti della Lega non vogliono alimentare polemiche, è evidente che sono in arrivo osservazioni critiche. Tra l’altro, il clima di distensione che si registra da qualche giorno nel centrodestra tra Lega e Forza Italia sembra avere un suo peso. Un punto che ha lasciato inorriditi gli esperti di Forza Italia, ad esempio, e non andava giù neanche ai leghisti è che la sanzione accessoria del divieto di rapporti con la Pubblica amministrazione, il cosiddetto Daspo perpetuo, restasse valido anche in caso di una riabilitazione del condannato. Cassato in extremis al ministero della Giustizia.
Politica estera
Merkel sceglie Weber per la Commissione Ue. A otto mesi da cruciali elezioni europee, il cristiano-sociale tedesco Manfred Weber si è candidato ieri alla carica di capolista per il Partito popolare europeo, con l’obiettivo di diventare il prossimo presidente della Commissione europea. La decisione, che giunge in un momento delicato per il futuro dell’Unione ed è stata appoggiata dalla cancelliera Angela Merkel, è il tentativo di contrastare l’ascesa di partiti euroscettici nel prossimo Parlamento europeo. «Siamo a un bivio – ha affermato l’uomo politico bavarese e capogruppo del PPE a Strasburgo dal 2014 -. Nel 2019, le elezioni europee decideranno il futuro dell’Unione. Minacciata dall’esterno e al proprio interno, l’Unione deve affermarsi e difendere i propri valori Contribuirò a rendere ai popoli europei la loro Europa e a ristabilire i legami tra i cittadini e la stessa Unione europea». La candidatura sarà messa al voto del PPE in una conferenza del partito il 7-8 novembre a Helsinki. La dedsione di Manfred Weber, 46 anni, era nell’aria da alcuni giorni ed è legato al desiderio della cancelliera Merkel di avere un tedesco alla guida della prossima Commissione, il primo dal 1967. Da capogruppo a Strasburgo, l’uomo politico si è rivelato in questi anni un buon gestore della macchina parlamentare. Tra i cristiano-sociali bavaresi, tendenzialmente più a destra di un democristiano classico, è un moderato, pro-europeo. Ci sono tutte le condizioni perché Weber ottenga l’investitura dei cristiano-democratici europei. Ma è la strada di Weber verso il Berlaymont a essere disseminata di trappole. La crisi delle grandi famiglie politiche europee, da quella catastrofica dei socialisti a quella a macchia di leopardo dei popolari, cambia infatti la dinamica che nel 2014 fece da sfondo alla Spitzenkandidatur. Stando ai sondaggi attuali il Ppe è ancora in testa, ma non supera il 30%. Non più maggioritaria, la Grande Coalizione con i socialisti è politicamente finita. Mentre le forze sovraniste sono date in costante ascesa. Detto altrimenti, nell’Europarlamento che verrà non ci saranno più le condizioni per ripetere la prova di forza con il Consiglio europeo, che cinque anni fa portò Jean-Claude Juncker al vertice della Commissione. Tanto più che il presidente francese Emmanuel Macron, il quale in teoria con En Marche potrebbe compensare i vuoti dell’alleanza europeista, ha già fatto sapere di non appoggiare la procedura dello Spitzenkandidat, preferendo riportare la nomina del presidente della Commissione nell’ambito dei capi di Stato e di governo, come da Trattato.
Tripoli, la tregua regge. Salamé: “Finita l’impunità”. A Tripoli la tregua mediata dall’Onu regge ma l’inviato speciale Ghassam Salamé al Palazzo di Vetro fustiga la casse dirigente libica, in particolare il Parlamento di Tobruk, perché frenano il processo di pacificazione «per restare al potere per sempre» e lavorano per «il vantaggio di pochi» e non a favore dei cittadini, «il tempo dell’impunità è finito». Dopo una settimana di scontri, 63 morti, 12 dispersi, 159 feriti, ieri non ci sono stati incidenti di rilievo anche se la Settima Brigata, la milizia ribelle che ha innescato il conflitto, ha denunciato «attacchi» alle sue postazioni. Il ministro dell’Interno libico, Abdelsalam Ashour, ha però ribadito che tutte le formazioni armate hanno accolto con favore il cessate-il-fuoco e saranno adottate «nuove misure di sicurezza». Il premier Fayez al Serraj, ha invitato i cittadini di Tripoli a tornare alla normalità e «alle loro occupazioni». Si attenuano anche le frizioni fra Italia e Francia, Anche se il sottosegretario Guglielmo Picchi giudica «non fattibili», le elezioni in Libia a dicembre volute da Macron. Mosca mantiene ora una posizione neutrale fra Al-Sarraj e Khalifa Haftar, sostenuto da Francia, Egitto ed Emirati, anche se appoggia la proposta francese di tenere elezioni a dicembre. Ma le parole di Salamé lasciano capire che tutto il processo di normalizzazione è bloccato. L’Italia sta valutando quando tenere la Conferenza sulla Libia e se organizzarla a Sciacca, a Palermo o a Roma e teme che un voto affrettato porti a nuovi scontri generalizzati, come accadde dopo le elezioni parlamentari del 2014. Sulla vicenda libica e sulla tregua in corso, intervista dal Corriere della Sera la ministra della Difesa Elisabetta Trenta spiega: «Seguiamo una strategia precisa che mira al rafforzamento del contesto di sicurezza e della capacità di governance. Credo fermamente che in Libia sia indispensabile in questo momento dare sostegno alle autorità locali e alle aziende di Stato». Alla domanda cosa farà l’Italia se la situazione in Libia dovesse precipitare la responsabile della Difesa risponde: «Escludo categoricamente ogni intervento militare, anche perché cosa porterebbe? Ricordiamo tutti l’errore del 2011, che ha finito per creare maggiore instabilità mettendo a rischio in primis l’Italia. Dobbiamo ricordare le lezioni del passato».
Economia e Finanza
Manovra verso 25-30 miliardi: nodo risorse. Sarà una manovra con «riforme strutturali a favore della competitività del sistema-paese», promette il premier Conte alla fine del vertice di ieri sulla legge di bilancio. Con un vertice a Palazzo Chigi ed una raffica di dichiarazioni all’unisono il governo chiarisce la linea della prossima legge di bilancio e si mette al riparo dai mercati. Lo «spread», il differenziale di interesse tra titoli italiani e quelli tedeschi, considerati i più affidabili, infatti, precipita. Dai 290 punti di inizio settimana si scende sotto quota 250. La decisione condivisa di attuare gradualmente il programma di governo riporta gli interessi sui Btp a dieci anni, dopo settimane, sotto il 3%. Ma numeri e confini delle legge di bilancio devono ancora trovare un punto di equilibrio,come dimostra il fatto che l’incontro è stato aggiornato aoggi prima del consiglio dei ministri pomeridiano. E c’è ancora della strada da fare per far incontrare le esigenze dei due azionisti di maggioranza, dalle pensioni in forma leghista al reddito di cittadinanza spinto dai Cinque Stelle, e quelle del bilancio rappresentate dal ministro dell’Economia Giovanni Tria, atteso domani a Vienna per l’Eurogruppo e l’Ecofin informale. Sui tavoli del confronto, che anche ieri ha conosciuto momenti di tensione, la manovra oscilla fra i 26-7 miliardi della sua versione più leggera agli almeno 30 delle ipotesi più “ambiziose”. Il numero chiave su cui l’intesa è ancora da trovare resta quello del deficit. Archiviati gli slanci delle settimane scorse su sforamenti o «sfioramenti» del 3%, il tiro alla fune oscilla ora intomo a quota 2%. Per Tria è una soglia da non raggiungere, mentre Salvini e Di Maio non escludono di superarla sensibilmente se necessario a far partire le misure chiave. Le mosse del Governo sono seguite con attenzione da Confindustria. «Se la logica è quella di lavorare ad un piano a medio termine, ad avere attenzione al deficit e al debito pubblico, a puntare sulla crescita e ridurre i divari, questo governo troverà una Confindustria vicina, pronta a fare proposte all’altezza della nostra industria italiana» afferma Vincenzo Boccia, secondo il quale «le dichiarazioni di apertura di Salvini fanno ben sperare nel nostro mondo, mi sembra vadano verso una dimensione di grande responsabilità»,
Autostrade: decreto con poteri all’authority per far decadere le concessioni. «Non abbiamo altra scelta se non nazionalizzare». La strada sembra a senso unico. L’indicazione data nuovamente ieri dal vicepremier grillino Luigi Di Maio al “collega” delle Infrastrutture non lascia spazi a interpretazioni. Il governo è pronto a chiudere in questi termini il caso Autostrade. E il ministro competente, Danilo Toninelli, è deciso a eseguire. Con un blitz che, al momento, è programmato per l’ultima settimana di settembre. Si tratta di un decreto legge, che viene considerato la prima tappa per rimettere mano al sistema delle concessioni. Il presupposto, dunque, da cui si sta muovendo il dicastero dei Trasporti si concentra sulla inevitabilità di un intervento normativo. Il testo è per ora solo una bozza. E non mancano alcuni nodi ancora da sciogliere dal punto di vista giuridico. Ma c’è una base dalla quale il decreto prenderà spunto: riguarda i poteri di controllo sulle concessioni. Al momento sono infatti quasi tutti assegnati alla Direzione Vigilanza del Ministero. Una struttura di cui anche di recente Toninelli si è lamentato, soprattutto per l’insufficiente dotazione di personale. Il progetto, allora, sarebbe quello di trasferire all’Autorità di Regolazione dei Trasporti la competenza di vigilare sulle concessioni autostradali, anche quelle sottoscritte in passato e ancora in vigore. Questi nuovi compiti comporterebbero, con ogni probabilità, l’ampliamento della sua composizione. Al punto che si configurerebbe quasi come una nuova Agenzia che nascerebbe, però, sulle fondamenta di quella istituita nel 2011. Anche se i suoi membri, scelti nel 2013 dall’allora governo Letta e in carica fino al 2020, potrebbero rischiare di decadere e essere sostituiti con nuove nomine da parte della maggioranza giallo-verde. Intervistato dal Corriere della Sera Gilberto Benetton dice: «Il disastro di Genova deve essere per noi come azionisti un monito perenne, anche se terribile e per sempre angoscioso nei nostri cuori». «Se nel caso di Autostrade sono stati commessi degli errori – dice – quando si sarà accertato compiutamente l’accaduto verranno prese le decisioni che sarà giusto prendere. Come azionisti che siedono anche nel consiglio di amministrazione della società, abbiamo il compito di dare gli stimoli e indicare le linee guida per lo sviluppo e la crescita dell’azienda, per farla eccellere nelle sue attività, in tutti i campi, supportando il management, ma mai sostituendoci ad esso».