Politica Interna
No del M5s alla Tav. Dietrofront di Di Maio sulla Tav: «È inutile, andrò da Macron a spiegarglielo». La sortita del capo dei Cinque Stelle provoca l’imbarazzo di Parigi. Al debutto del tour in Italia per illustrare il contratto, Di Maio sa che deve rassicurare le truppe. Sfodera l’armamentario caro alla base, a cominciare dalla Tav, che in Piemonte resta un tema urticante. Il no alla linea ad alta velocità Torino-Lione, inizialmente esplicito, è stato sfumato; ora si parla di ridiscutere integralmente il progetto. È un evidente passo indietro, ma Di Maio si sforza di negarlo: «Nel programma è previsto il blocco di un’opera inutile. Andremo a parlare con la Francia e diremo che la Torino-Lione poteva valere trent’anni fa, ma non oggi. Non serve più». Glissa sui 2 miliardi- almeno – che l’Italia dovrebbe pagare per tornare indietro. Un annuncio che arriva proprio nel giorno della manifestazione dei movimenti No Tav che si è svolta a Torino. In questa mossa del M55 spicca il silenzio della Lega. Solo il capogruppo del Carroccio al Comune di Torino Fabrizio Ricca insiste sulla necessità che i lavori per la Tav vadano avanti, per il resto nessuno sembra opporsi. Al contrario del centrodestra, che insorge. Matteo Salvini, intanto, si dice «fiducioso» sul governo. Ma avverte: «Se qualcuno non rispetterà questo programma salta tutto».
Crisi Pd. Nell’Assemblea dei mille delegati – convocata all’Ergife per scegliere nuovo segretario, assetto del partito e data del congresso – la parola d’ordine diventa: rivediamoci a luglio, ora tregua. È la linea di Matteo Renzi, segretario uscente ormai definitivamente ex. Ma è Maurizio Martina, il reggente, ad avere la meglio, pur nel rispetto del patto di tregua che in conclusione stringe: «Se tocca a me, anche se sono poche settimane, tocca a me. Ve lo chiedo con il massimo della sincerità. Tocca a me con tutti voi». Renzi non applaude mai Martina. Poi se ne va. Tanto, quello che voleva ottenere lo ha ottenuto. Si è visto che ha la maggioranza perché la mediazione è stata approvata, anche se, ammette lui stesso con il giglio magico, «la base si è spaccata perché puntava alla resa dei conti, e anche qualcuno dei nostri ha votato no. Comunque, l’idea del congresso è passata e gli altri sono andati sotto».
Politica Estera
Elezioni in Venezuela. Oggi il voto. L’opposizione si è spaccata e ha deciso di boicottare le urne. Molti dei leader sono scappati all’estero per sfuggire alla repressione. II Paese è al collasso e nei supermercati arrivano solo merci di bassissima qualità. Chi non riesce a farsi curare all’estero ha il destino segnato in un Venezuela senza cibo e medicine. La crisi economica e l’iperinflazione ha svuotato le farmacie e lo Stato li ha abbandonati a sé stessi. L’impennata dei prezzi negli ultimi mesi è stata surreale e la gente sta soffrendo la fame. Il governo giustifica tutto con la «guerra economica» architettata da Washington con la complicità dei governi di destra dell’America Latina e il placet della Ue. Maduro parla del «bloqueo» (embargo) come se si trattasse di Cuba. Usa, Ue, il gruppo di Lima – composto da 14 paesi dell’America Latina – e il Canada hanno già dichiarato che non riconosceranno il risultato, mentre Russia, Cina, Bolivia, Siria e altri dovrebbero reputarle legittime. Illegittimo, dunque, o addirittura criminale il prossimo governo di Caracas secondo l’Occidente democratico. Non esistono, in effetti, precedenti di un governo che si riconferma in maniera democratica dopo un crollo del Pil di quasi 1140 per cento e una inflazione che ha ridotto i salari a due o tre dollari.
Migranti dalla Turchia. Sono passati oltre due anni da quando la Ue ha firmato l’accordo con la Turchia che avrebbe dovuto bloccare il flusso di migranti proveniente dalla Mezzaluna. Una decisione che si è trasformata in una spada di Damocle per Bruxelles, diventando l’arma più importante di Erdogan per influenzare le sue decisioni, proprio ora che la Ue, nei confronti del capitolo Turchia, ha iniziato a inviare qualche timido segnale. Quest’anno, per la prima volta, sono diminuiti i fondi diretti ad Ankara e previsti per i Paesi candidati membri e il governo turco lamenta anche un’erogazione troppo lenta dei sei miliardi. La Turchia ha così adottato un doppio binario, minacciando l’Ue di ritirarsi dal patto e facendo filtrare periodicamente migranti dalle frontiere. Ad aprile, infatti, secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), sono passate da qui circa 3000 persone, più di quante ne siano arrivate sulle coste delle isole dell’Egeo settentrionale e metà di quelle registrate su questa frontiera in tutto il 2017. Ad arrivare sono soprattutto famiglie con bambini dalla Siria, dall’Iraq e dall’Afghanistan ma negli ultimi mesi anche cittadini turchi.
Economia e Finanza
Cdp. La banca per gli investimenti disegnata nel contratto stilato da M5S e Lega non è un nuovo veicolo che il governo nascituro intende costituire. Come del resto specificato nel documento, si tratta di sostenere «lo sviluppo dell’economia e delle imprese italiane utilizzando le strutture e le risorse già esistenti». Si tratta, da una parte, di migliorare quanto essa già fa concentrando maggiormente la potenza di fuoco su un maggiore supporto delle Pmi, anche attraverso una presenza più capillare sul territorio. Dall’altra di pianificare e garantire un maggiore coordinamento tra questa “banca” e le altre realtà a controllo pubblico che svolgono funzioni affini. L’identikit tracciato nel documento è in sostanza quello della Cassa depositi e prestiti. Non è ancora la nuova Iri, ma potrebbe diventarlo presto. Di certo, comunque, il rinnovo dei suoi vertici sarà la madre di tutte le nomine, il primo banco di prova della probabile alleanza giallo-verde. La necessità di rafforzare la capacità di intervento della Cdp, oggi molto focalizzata sul credito corporate, verso il sostegno alle Pmi ha portato alcuni esponenti politici dei Cinque Stelle a guardare all’esempio della Bpifrance, la banca a servizio delle imprese «di tutte le taglie» controllata dalla Caisse des Depots e Consignations e dallo Stato francese.
Rottamazione cartelle. Si conferma il successo della rottamazione delle cartelle esattoriali. E infatti arrivato a oltre 950 mila il numero delle adesioni, secondo il primo bilancio tirato dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione (Ader) che fa il pieno. Forse anche grazie a una novità: il 62% delle domande è infatti stato inviato attraverso i canali digitali dell’Ader, il «Fai D.A. te» e la posta certificata. Un risultato che supera le aspettative del Mef che ad aprile stimava 600 mila richieste per un totale di 3 milioni di cartelle. I tecnici non si sbilanciano ancora ma appaiono raggiunti gli obiettivi di incassare quanto previsto nella relazione tecnica al provvedimento, cioè 1,6 miliardi quest’anno e 409 milioni nel 2019. L’Ader analizzerà ora le istanze ricevute e fornirà la risposta ai contribuenti, accogliendole o o rigettandole. Entro fine giugno i contribuenti riceveranno l’elenco dei carichi «rottamati», il dettaglio sui possibili debiti che per legge non possono rientrare nella definizione agevolata, gli importi da pagare e i bollettini. Per una sanatoria che da pochi giorni ha visto chiudersi i termini di presentazione delle domande, un’altra si avvia ad arrivare definitivamente al traguardo segnalando ai contribuenti interessati eventuali errori di calcolo. Infatti per la definizione agevolata delle liti pendenti, gli uffici locali dell’agenzia delle Entrate stanno inviando ai contribuenti una comunicazione per chiedere di integrare le somme dovute che non sono state correttamente calcolate. Già, perché la definizione liti si basa su un’autoliquidazione dell’importo da pagare: il vantaggio, in questo caso, riguarda lo stralcio delle sanzioni collegate ai tributi contestati e degli interessi di mora, mentre se la lite riguarda esclusivamente sanzioni non collegate ai tributi o interessi di mora, la definizione comporta l’abbattimento al 40% degli importi in contestazione.