Politica interna
Scontro Lega-FI sulla Rai – Come previsto è stata fumata nera. La commissione di Vigilanza Rai ha infatti bocciato la nomina di Marcello Foa a presidente di Viale Mazzini. Non sono stati sufficienti i 22 voti ottenuti dall’amministratore delegato del Corriere del Ticino. Per il via libera Foa avrebbe dovuto ottenere 27 voti su 40, ovvero i due terzi della commissione bicamerale. Ma Partito democratico, Forza Italia e Leu, pur essendo presenti, non hanno partecipato al voto. Quando il leader leghista ieri è andato a trovarlo all’ospedale San Raffaele, dove si sta sottoponendo a dei controlli, Berlusconi si è lasciato conquistare dalla mozione degli affetti, dalle sue parole calorose. Si è trovato di fronte un Salvini ben diverso da quello che la sera prima aveva liquidato con modi spicci le proposte di mediazione di Antonio Tajani sulla Rai. Ma quel tentativo di pace in «extremis» non ha convinto per nulla lo stato maggiore del Cavaliere, da Gianni Letta, a Tajani, a Ghedini. La convinzione è che il leader della Lega punti a logorare Forza Italia, per dimostrare che il suo leader sia «irrilevante» come pure il partito. E la nomina o meno di Foa alla fine è diventata, nelle intenzioni del leader leghista, la cartina di tornasole per dimostrare che è lui a dare le carte, nel governo come nel centrodestra. A metà pomeriggio, poi, Berlusconi ha chiarito che non c’erano margini per intese su Foa ai tempi supplementari. Dopo aver puntualizzato di avere «condiviso» il no dei commissari Fi ha aggiunto: «La eventuale riproposizione dello stesso nome alla commissione di vigilanza non potrà essere votata dai componenti di Forza Italia». Salvini lo ha accusato «di complottare con il Pd contro il cambiamento». Il timore di tutti, a questo punto, è che Salvini voglia continuare lo scontro. L’idea sarebbe quella di impedire la nomina di altri presidenti, confermando nel cda Foa che svolgerebbe le funzioni di presidente come consigliere anziano.
Olimpiade 2026 – Le Olimpiadi invernali del 2026, se saranno assegnate all’Italia, saranno le Olimpiadi della Lega, straripante vincitrice di una battaglia durata mesi e chiusa soltanto ieri pomeriggio con il voto unanime del Consiglio nazionale del Coni alla proposta del presidente Giovanni Malagò: unione a tre – Torino, Milano, Cortina – tagliando fuori, rispetto alle proposte originarie, le appendici in Svizzera e Alto Adige. L’attacco a tre punte è diventato una entità che va oltre le singole città che, non a caso, sono contrariate. Sala ha confermato la disponibilità di Milano, ma «solo come sede di gare o eventi in quanto, stante le attuali condizioni, non ritiene praticabile una partecipazione alla governance». Un passo indietro, forse tattico o dettato dalla delusione, con Malagò che ha subito tentato di spegnere la polemica chiarendo che la governance sarà tema da affrontare quando (e se) la candidatura diventerà «comitato organizzatore». In effetti, sfogliando il dossier si nota l’investimento per i tre villaggi olimpici: quello di Milano, da cento milioni, è il più importante. In più la cerimonia inaugurale, non esplicitata nel masterplan, si terrà a San Siro. Ma poco dopo è Sala ha twittato precisando che «il chiarissimo dossier è stato approvato dal Coni senza che Milano, e presumo le altre città, l’avessero a disposizione». La sindaca di Torino Appendino si dice «fortemente perplessa», giudica il lavoro del Coni frutto di «logiche in parte incomprensibili». Il progetto che da oggi è nelle mani del Cio è forse la candidatura più economica della storia delle Olimpiadi: 376, 5 milioni, con due sole nuove opere da costruire, il Villaggio olimpico (a carico del pubblico) e il nuovo Palazzo del ghiaccio (con fondi privati), entrambi a Milano. Il resto si basa su strutture già esistenti e pronte all’uso, oppure da ristrutturare blandamente.
Politica estera
Russiagate – Nelle ultime ore il sito statunitense d’informazione «Fivethirtyeight.com», guidato da Nate Silver, ha pubblicato i nove vastissimi file Excel contenenti oltre un milione di interventi su Twitter da parte dei profili fortemente sospettati da Mueller di appartenere a operatori russi. Quasi tutti intervengono, in inglese, sui temi della campagna presidenziale americana. Non tutti però. Con loro sorpresa, gli investigatori di Washington hanno constatato che una parte del materiale è in italiano. Il sito, grazie alla collaborazione di alcuni docenti universitari, ha creato un database aperto nel quale sono stati caricati i 2.973.371 tweet da circa tremila profili twitter. I file selezionati vanno da febbraio 2012 a maggio 2018, con la stragrande maggioranza dal 2015 al 2017. Tra di loro ci sono circa 1.500 tweet italiani. Da una prima analisi è interessante verificare come molti di questi profili fake creati a San Pietroburgo interagissero con altissima frequenza con profili di sostenitori della Lega e del Movimento 5 Stelle. Per ricostruire la piramide della propaganda e il meccanismo che la regolamentava servirà comunque del tempo. Intanto Donald Trump torna alla carica e chiede al ministro della Giustizia Jeff Sessions di chiudere una volta per tutte l’inchiesta sul Russiagate foriera di gogne mediatiche e processi politici. «È una situazione terribile che va fermata prima che diventi ancora di più una macchia per il nostro Paese», afferma Trump in coincidenza del secondo giorno del processo all’ex manager della sua campagna, Paul Manafort.
Migranti – Pedro Sánchez lancia l’allarme e la risposta della Ue è immediata: il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, annuncia lo sblocco di 55 milioni di euro in aiuti per gestire l’emergenza migratoria. Bruxelles condivide la “sensazione di urgenza” trasmessa dalla Moncloa per l’improvviso incremento degli sbarchi sulle coste andaluse e gli assalti ripetuti alle recinzioni di frontiera in territorio africano, nelle enclave di Ceuta e Melilla. Niente di nuovo o eccezionale, ma è la tendenza che preoccupa, soprattutto perché è la prima volta negli ultimi anni che la Spagna supera Italia e Grecia per numero di arrivi: già oltre 20mila da gennaio a fine luglio, contro i 18mila sbarchi sulle nostre coste e 15mila in quelle greche. In Italia invece Matteo Salvini nelle settimane scorse ha annunciato di avere spostato fondi per almeno 50 milioni di euro, recuperati da altre voci di bilancio, per incrementare i voli di rimpatrio per gli irregolari che vivono in Italia. Occorre però la disponibilità dei Paesi di origine dei migranti a riaccoglierli. A questo scopo, il governo italiano sta facendo pressione sulle autorità della Ue affinché si tenga conto del problema delle riammissioni prima di stringere nuovi accordi di libero scambio e libero commercio. Ha spiegato Salvini stesso in Parlamento: «Il presidente Juncker vuole chiudere al più presto un nuovo accordo di libero commercio con la Tunisia. Noi abbiamo chiesto che venga inserita la clausola della riammissione. Si deve statuire che la convenienza deve essere reciproca». Una posizione, in verità, che ha condiviso con il collega tedesco Horst Seehofer.
Economia e finanza
Riforme Lega-M5s – «Sarà l’autunno della rivoluzione fiscale», annuncia il leader della Lega Matteo Salvini da Milano Marittima prima di rientrare a Roma. «Flat Tax e reddito di cittadinanza sono misure propulsive» contro il «rallentamento» certificato dall’Istat, rilancia il viceministro M5S all’Economia Laura Castelli ai microfoni di Radio 24. Le dichiarazioni preparano il terreno per l’avvio vero e proprio dei lavori sulla manovra ai piani più alti della politica. In calendario, dopo il consiglio dei ministri, c’è infatti il primo vertice sui conti. Sultavolo finiranno i 12,4 miliardi di aumenti Iva da bloccare (0,65% del Pil) e gli almeno 3,5 miliardi di spese indifferibili (0,2% del Pil) ma anche i numeri positivi del fabbisogno diffusi ieri: nei primi sette mesi, anche al netto del salva-banche, il fabbisogno è 4,7 miliardi sotto lo stesso periodo 2017, soprattutto grazie alla spinta delle entrate fiscali (+6,2 miliardi). Sono questi dati a misurare le distanze fra le ambizioni della politica e il freno dei conti. Dal canto suo, la politica preme su Flat Tax, reddito di cittadinanza e pensioni. Ma in che misura? Salvini nei giorni scorsi ha parlato di «incardinamento iniziale» delle misure chiave del contratto di governo, ma anche quello ha un costo. Intanto tra oggi e domani dovrebbe arrivare il via libera della Camera al Decreto Dignità, senza la richiesta del voto di fiducia, che invece potrebbe esserci al Senato, dove il testo è atteso lunedì. Il decreto ha fornito l’occasione per scardinare il Jobs act e reintrodurre l’articolo 18, come promesso in campagna elettorale dal Movimento 5 Stelle. Ma durante il voto degli emendamenti al Decreto dignità l’aula ha respinto la proposta di Leu che chiedeva il ripristino dell’obbligo di riassunzione del lavoratore licenziato ingiustamente, tra gli applausi ironici del Pd, a sottolineare l’incoerenza dei Cinque Stelle. Era stato infatti lo stesso Luigi Di Maio – presente tra i banchi di Montecitorio a ribadire più volte in campagna elettorale che il Movimento avrebbe reintrodotto la norma cancellata dal governo di Matteo Renzi.